Note su "Il persecutore" |
Barbara De Vizzi |
05-10-2007 |
Il disegno
Impossibile restare indifferente a questa immagine. Mi sono sentita attratta, quasi risucchiata, dal racconto che l’autore ha fatto con le immagini.
Potrebbe sembrare la rappresentazione di un brano di “Se questo è un uomo” di Primo Levi, ma in realtà va oltre. Questo disegno non ha né tempo né luogo, non descrive una crudeltà piuttosto che un’altra, è il dramma universale della non libertà, dell’abuso di potere di uomini su altri uomini.
Molti sono i dettagli che mi trasmettono un messaggio, che mi parlano.
La donna in rosso
La mia curiosità è stata attratta immediatamente dalla figura della donna in rosso.
Una figura femminile molto provata, unica in tutta la raffigurazione ed unica figura umana con un colore, che sembra essere la guida del gruppo alle sue spalle: perché una donna? Una donna molto ben definita, sia nel suo essere donna (capelli lunghi, seno e fianchi decisi, molto matura nella sua femminilità, decisamente materna) sia rispetto alla massa di individui alle sue spalle, rappresentazione di un’umanità priva di individualità. Il suo braccio (è l’unica che non ha le braccia dietro la schiena) è l’unico elemento che esce dal filo che li contiene tutti.
Dai Luiss… svelami quello che mi vuoi raccontare con questa donna!
Dopo averci molto pensato, e ripensato, ho deciso che quella donna rappresenta la speranza.
La massa di uomini
La condizione in cui vivono ha privato gli uomini della loro personalità, tutti uguali nella loro assenza di diritti, nella loro condizione di non libertà. Nessuno ha un volto, ma il loro insieme trasmette un senso universale di disperazione. C’è tutto il mondo lì dentro, anche senza averlo rappresentato. Dove va questa massa? Da nessuna parte… è destinata solo ad aumentare; non ha sbocco, non ha prospettiva, non c’è possibilità di recupero.
L’uomo che grida
Uno dei pochi individui che conserva ancora una forma, una sagoma con una fisionomia ben definita. La sua condizione di non libertà non l’ha ancora annullato. Non si è ancora arreso, la sua residua voglia di gridare ancora se stesso coincide con la sua capacità di mantenersi ancora uomo.
L’uomo bendato
La rassegnazione assoluta, con la testa reclinata e le mani dietro la schiena, la rinuncia alla vita. Non ha più nemmeno un volto, è solo la benda sugli occhi… è un condannato a morte. Davanti a lui non c’è futuro.
Gli uomini che scendono dal treno e si stanno unendo al gruppo
Sono ancora individui; rappresentati da esili figurine, di cui si vede soprattutto il capo; come a dire che nelle condizioni di privazione e umiliazione della dignità ciò che riesce a sopravvivere, ciò che si annienta per ultima è la mente. Potrebbero scappare dalla loro condizione? Non lo fanno, camminano rassegnati verso la massa che li cementerà, che fagociterà la loro identità, perdendo la qualità di uomo in cambio di quella di prigioniero.
Il paesaggio
Il paesaggio in realtà non esiste. Non è caratterizzato da nessun elemento: è il vuoto, è l’assenza, la solitudine. Questi uomini sono soli, attorno a loro c’è solo il vuoto, l’indifferenza tangibile di un mondo che attorno a loro si fa da parte. Questo vuoto è la loro seconda prigione, oltre il recinto di filo spinato e il filo che li contiene.
Il persecutore
Personaggio assolutamente grottesco e inquietante che personifica in modo dissacrante il potere (ha tra le mani delle redini di filo spinato con cui tiene le fila di un manichino), un potere che sovrasta, sta sopra ogni cosa, che tutto trasmette tranne che un senso di equità e giustizia. Di lui non si capisce il vero pensiero, il vero fine: sta infliggendo una pena… ma ride compiaciuto.
A prima vista ricorda un diavolo di un girone dantesco, ma è come uno di quei pupazzetti che escono all’improvviso, spinti da una molla, da una scatola/scherzo, destando al tempo stesso risa e sgomento.
E su questa scatola sono incise, come un monito scolpito nel marmo (mi torna alla mente il verso dantesco “lasciate ogni speranza voi che entrate”) parole di una realtà cupa, dolorosa, come quella che aspetta i prigionieri. Non presta minimamente attenzione al personaggio del gruppo che grida a gran voce verso di lui.
Cosa fa aprire la sua scatola? Forse, il solo arrivo del treno.
Il treno e i suoi binari
Un treno su binari che partono dal nulla e finiscono nel nulla, che tragitta gli uomini nella loro nuova condizione.
I binari, elementi fissi, che consentono un solo percorso, senza possibilità di variazione, anche quando opportuna o necessaria.
Un treno che viaggia su questi binari immutabili è come uno schema applicato senza lasciare scampo.
Il manichino
Il manichino è vivo, perché sta ancora cercando di fuggire a ciò che sotto di lui lo aspetta. Il suo colore azzurro, ci racconta ancora un po’ della sua vitalità… forse della sua presunta innocenza?
Ma è già nelle mani del suo persecutore, è già un uomo senza volto, senza identità, senza libertà.
Disamistade | Dimensioni originali del disegno |