Lettera al Presidente |
Francesco Garaffoni |
Carcere di Bollate |
03-05-2012 |
Caro Signor Presidente,
Scrivendole, la penso accerchiato da problemi e da mille richieste che pretendono rapide risposte; la pazienza lo sappiamo non è la dote più diffusa tra i cittadini. Le do subito una buona notizia: io avrò pazienza, se non altro perché i prossimi 3 anni li trascorrerò in carcere. Quindi nessuna premura, nessuna urgenza!
Ma mi permetta una domanda, la società, una volta tornato in libertà, mi permetterà di realizzare i tanti progetti che ho avuto il tempo di elaborare in questi anni di detenzione? Sarà possibile l’accesso al credito anche per chi, come me, avrà difficoltà a fornire reali garanzie? Avrà il coraggio e la volontà di accettare un ex detenuto come risorsa?
Perché, signor Presidente, è solo di questo che un detenuto ha necessità, anche perché esiste chi, fra i normali cittadini, di coraggio ne ha e, trasformatosi in Don Chisciotte, combatte da anni contro i mulini a vento e ancora continua. Questo antico e moderno incosciente ha anche un nome. Si tratta di un certo Angelo Aparo, che da anni, cavalcando il suo Ronzinante, si presenta nelle carceri di Opera, San Vittore e Bollate per continuare la sua battaglia. Le sue armi sono la testardaggine e il Gruppo della Trasgressione, i suoi nemici i luoghi comuni e la burocrazia delle istituzioni.
Egli si prefigge un nobile e utile scopo, quello di entrare nelle storie sbagliate per conoscere l’immagine che ogni reo ha di sé e promuoverne l’evoluzione attraverso la comunicazione con la società esterna. È un metodo che verte principalmente sul recupero dell’esperienza personale e l’approfondimento di temi come le scelte, il rapporto con la legge, il superamento dei limiti e il divenire dell’identità del cittadino. Questo incosciente sostiene che il rapporto tra carcere e società è un impegno doveroso perché è solo una buona combinazione fra pena e progetti con se stessi e con gli altri che permette reali opportunità di riscatto a chiunque lo desideri e migliori condizioni di vita ai cittadini.
E pensi, Sig. Presidente, egli sostiene anche che una società cresce e si salva nel suo insieme, non in virtù di qualche istituzione particolarmente forte. Roba da matti. Ma non è finita, il reprobo attacca i suoi nemici predicando la convinzione che la condizione carceraria è una vergogna morale e uno spreco sociale, anche perché non onora e non scommette sulla indicazione costituzionale del recupero del reo.
Egli, forte delle sue convinzioni e della sua esperienza, ha creato un esercito di detenuti messaggeri che, incontrandosi sia all’interno delle carceri che all’interno delle scuole, si relazionano con studenti e universitari e, parlando delle loro esperienze, distribuiscono il “virus della curiosità”, come lui ama chiamare l’esplorazione dei propri vissuti.
Il moderno Savonarola a capo del Gruppo della Trasgressione continua imperterrito a fare guerra agli stereotipi e alla cattiva informazione. Io, sig. Presidente, sono prigioniero di questo dittatore del pensiero, ma ne respiro le parole come aria di libertà e il metodo come unica strada percorribile per arrivare ad un’analisi interiore, cercando per il mio futuro un senso diverso rispetto al mio passato.
Detto questo, Egregio Presidente, Lei si trova a un bivio: o elimina questo disturbatore del pensiero comune o si allea con lui, riconoscendogli l’utilità, anzi la necessità del suo lavoro, che altro non è che la messa in pratica di un principio centrale dell’istituzione che lei rappresenta, cioè più sicurezza per la Sua e la mia società.
Francesco Garaffoni