Alla dott.ssa Gloria Manzelli |
Pasquale Forti | 02-04-2008 |
Gent. ma Dottoressa Manzelli,
sento il bisogno di comunicarLe la gratitudine per le opportunità che mi ha concesso durante la permanenza a San Vittore, nonostante le difficoltà oggettive presenti nell’Istituto.
Quando giunsi, circa 3 anni e mezzo fa, ricordo perfettamente il nostro primo breve colloquio e il suo atteggiamento rigoroso e formale. Nel complesso, una forma di comunicazione molto aderente a ciò che ero ai suoi occhi: un soggetto pieno di sé, che pretendeva, come se gli si dovesse per diritto, ma non riconosceva doveri e responsabilità. Infatti mi liquidò senza tanti preamboli.
Ricordo che rimasi molto contrariato dall’episodio e mi chiusi in me stesso, rimanendo fermamente convinto che l’Istituzione non aveva nessuna possibilità per essere considerata da me motivo di qualsiasi interesse.
D’altronde, ero o non ero io il centro del mondo? Una sorta di… Pasquale-centrismo!
Successivamente ho cominciato a frequentare il Gruppo del Dott. Aparo, prima con curiosità, poi sempre con maggior interesse e passione.
Con molta fatica da parte mia e tantissima pazienza da parte del Dottore, iniziai ad impadronirmi dell’idea che queste persone mi consideravano una risorsa di un certo valore all’interno dei dibattiti che si svolgevano durante le riunioni.
Mi resi conto che venivano fuori delle parti di me che a suo tempo non erano state considerate e valorizzate in maniera adeguata ed erano state accantonate e nascoste per lasciare spazio ad altre parti che nell’arco della mia vita prendevano campo, provocando ed attuando disastri a non finire.
Certo, il bilancio che ne è venuto fuori rappresenta un peso così grande che se non ci fosse l’aiuto e il sostegno del Gruppo, nelle sue figure più essenziali, mi schiaccerebbe totalmente. Ma, fortunatamente, il Gruppo c’è e il suo contributo non si riduce all’ambito di lavoro, ma si riflette sul mondo circostante, raccogliendo consensi, considerazioni, attenzioni, che concorrono a consolidare, in chi ne fa parte, il senso di responsabilità verso se stessi e verso il mondo con cui interagiamo.
Dopo il nostro primo incontro, rimasto sempre dentro di me, abbiamo avuto un brevissimo scambio quando ci fu il convegno dell’on. Pisapia, durante il quale non riuscii ad intervenire per la forte emozione. Concluso il convegno, quando ci siamo salutati, Lei mi diede la mano e con un sorriso mi disse qualche parola di incoraggiamento.
Circa un mese fa si trovava in ufficio presso il terzo reparto, la salutai e Lei mi rispose con un sorriso. Infine, quando era stata già fissata la mia partenza, Lei l’ha fatta rinviare e poi, durante il convegno, quando La ringraziai, me ne diede le ragioni: “Era il minimo che potevamo fare per ripagare il suo lavoro e il suo impegno”.
Vede, Dottoressa, sembrerebbero solo dei piccoli episodi a se stanti, ma per me rappresentano un importante raffronto con la considerazione di tre anni fa.
Lei rappresenta la società, quella società che con molta sufficienza ho violentato senza alcun ritegno.
E adesso quella società valorizza il lavoro di recupero che sto portando avanti con fatica e dolore, mi riconosce, costringendomi a riconoscerla.
E’ un percorso difficile e ancora lungo, ma le garantisco che ciò che Lei ha fatto per il Gruppo e ciò che ha fatto per me rimangono dei dati di fatto sui quali le mie attuali convinzioni si rafforzano e spero che un giorno non lontano mi facciano sentire di essere un cittadino.
Mi piacerebbe parlarLe ancora della mia esperienza nel Gruppo e di quanto lo considero importante, ma non voglio tediarla.
Questa mia vuole essere un attestato di stima a Lei e a tutti gli operatori penitenziari che interpretano e svolgono la loro funzione in maniera efficiente e sentita, aderendo così allo spirito che la stessa rappresenta.
Mi sento onorato per averla conosciuta, fortunatamente privilegiato per aver avuto questa opportunità e contento per averla saputa raccogliere.
Le giungano i miei più sinceri e cordiali saluti, unitamente all’augurio che possa svolgere con la massima serenità il suo lavoro e che un giorno, spero non troppo lontano, avrò l’opportunità di incontrarLa e presentarmi a Lei con una “carta d’identità” nella quale sarà certificato il nuovo corso della mia vita.
Bollate, lì 02-04-2008
P. F.