Pozzanghere |
Livia Nascimben | 02-05-2004 |
Le pozzanghere mi affascinano. Ieri mentre passeggiavo per le vie di Milano con due amici ho chiesto loro se guardavano mai nelle pozzanghere.
Un tempo camminavo sempre con la testa bassa, per vedere di non inciampare, di non pestare cose poco gradite o di non bagnarmi i piedi nelle pozzanghere, soprattutto per non incontrare lo sguardo della gente, per evitare la paura e l'imbarazzo di fronte a uno sguardo gentile, assente, provocante, invadente; avevo le scarpe pulite ma la sensazione di non essere stata in nessun luogo e di essere sola, anche quando andavo in giro con qualcuno.
Un annetto fa venendo al gruppo, dopo un temporale, mi sono accorta che tra il grigio delle strade, riflessi nell'acqua sporca delle pozzanghere, si possono vedere i colori degli alberi, le case, il contrasto tra il cielo e le nuvole.
Prima, nonostante viaggiassi con gli occhi bassi, non mi ero mai accorta della bellezza che può avere una pozzanghera, troppo impegnata com'ero a pensare a me stessa, a quanto fossi a disagio con la gente e a quanto temessi di fare brutte figure o di non essere all'altezza, a ciò che mi faceva dispiacere, a ciò che mi era andato storto e a come avrei potuto farlo andare meglio la volta successiva.
La ricchezza ora la vivo quando cerco i colori, quando ascolto le persone con cui cammino, quando sto da sola e mi guardo attorno, quando trovo il mondo nell'acqua, guardandolo a testa in giù non meno che con gli occhi alzati.