Un'identità da condividere

 

Dino Duchini

28-02-2007
 

Da una riflessione di Dino Duchini, detenuto attualmente in art. 21,
a un incontro con gli allievi del corso
di specializzazione in criminologia dell’Università di Padova coordinato
dal prof. Gianvittorio Pisapia

 

L’esperienza che sto vivendo in questo periodo mi dice che, per il detenuto che torna alla vita libera e per quello che fruisce di una misura alternativa, la formazione lavorativa e un posto di lavoro sono cose di grandissima importanza, ma non bastano a zittire il richiamo di passate abitudini a risolvere o a tentare di risolvere i problemi di tutti i giorni secondo il vecchio stile.

Chi esce dal carcere, nella gran parte dei casi, è una persona che, oltre ad aver commesso svariati reati, è anche abituata a ricercare tipi di gratificazione che sono poco compatibili con un modesto stipendio e con uno stile di vita fatto di lavoro, famiglia e piaceri semplici; inoltre, chi è stato detenuto si trova per un motivo o per l’altro ad avere numerose difficoltà di reinserimento che mettono a dura prova la volontà di portare avanti i suoi programmi.

Il lavoro è certamente una condizione necessaria a che si possa procedere, ma non sufficiente! Sarebbe illusorio credere il contrario. Per mantenersi coerenti con i propri propositi di reinserimento, anche quando questi siano stati individuati in perfetta buona fede, occorre che la persona abbia, oltre al lavoro, anche la capacità e le condizioni per saper trarre gratificazioni e ulteriori motivazioni dal nuovo stile di vita verso cui ci si è orientati. Occorre pertanto che l’ex detenuto possa condividere le proprie esitazioni, frustrazioni e speranze con un gruppo di persone con cui trovarsi in sintonia, un gruppo che, ovviamente, non può essere quello dei vecchi compagni di cordata, ma che, per comprensibili ragioni, non è facile costruire nei primi tempi della nuova vita. Occorre che la persona possa avere degli scambi con gruppi di riferimento con i quali coltivare e dare sostanza a un nuovo stile di vita.

Per vivere in equilibrio e in sintonia con la collettività di cui si fa parte, per assimilare e far diventare veramente propri i valori sociali che costituiscono i necessari punti di riferimento di una collettività, per diventare, insomma, un cittadino sensibile agli interessi della collettività occorre maturare una nuova identità sociale, una identità che si sviluppa e si rafforza giorno per giorno solo se ci sono le condizioni per poterlo fare.

Avere un posto di lavoro costituisce una risorsa indispensabile, ma non equivale ad un repentino cambiamento di quella identità sociale, di quelle relazioni e di quella immagine di sé, di quelle coordinate valoriali cui si è fatto riferimento all’epoca dei reati. Questa nuova identità è possibile maturarla solo se a un decoroso posto di lavoro si affiancano attività, interessi e progetti da coltivare con il gruppo con il quale ci si è orientati verso il nuovo stile di vita.