Noi cacciatori

Ivano Longo

23-02-2004  

Era ancora buio e la neve era alta quasi mezzo metro, il rumore dei passi pesanti del cacciatore riempiva le orecchie del figlio che era lì per imparare; così gli aveva detto suo padre quella mattina quando era andato a svegliarlo, “svegliati che oggi imparerai cos’è un lupo”.

Il vento gelido tagliava le guance del piccolo Leo, che di tanto in tanto cadeva per la difficoltà di camminare nella neve alta, che ogni volta gli entrava dal collo fino alla schiena, bagnandogli anche i capelli, le orecchie, il viso. Rialzandosi, doveva aggiustarsi tutte le volte il cappello, riannodarsi la grande sciarpa e spolverarsi dalla neve che si appiccicava ai vestiti.

Si sentiva impacciato e goffo, quei vestiti, indossati tutti insieme, lo ostacolavano nei movimenti e il freddo entrava ugualmente attraverso il tessuto, allo stesso tempo sudava perché il padre andava più veloce di lui e non lo aspettava. C’era una cosa che al piccolo Leo piaceva, ed era il fatto di poter mettere i suoi piedi dentro le orme del padre, questo lo faceva sentire già grande e gli dava un senso di appartenenza; di tanto in tanto si girava per guardare le sue orme, le vedeva uguali a quelle del padre, ed era una bella illusione.

“Andiamo a caccia” pensò mentre si rialzava per l’ennesima volta, non aveva armi con sé ad eccezione di un piccolo ramoscello appuntito che si era costruito la sera prima.

Camminarono per molto tempo, fino a quando il cacciatore si fermò, si abbassò, chiamò il piccolo Leo e disse: “guarda, queste sono le orme del lupo”. Erano orme strane pensò il bambino, diverse da quelle degli uomini, più piccole e si chiese come faceva un animale così piccolo ad incutere tanta paura negli uomini; prima di allontanarsi dall’orma Leo la accarezzò con la mano, c’era qualcosa che lo attirava, qualcosa che voleva sapere. Si guardò intorno e non vide nulla, non sentì nessun rumore se non quello del vento, dietro agli alberi non c’era nessuno.

La luce iniziò ad illuminare la corteccia e le foglie degli alberi, e l’aria divenne più tiepida.

Fermiamoci - disse il cacciatore - siamo quasi arrivati, le orme sono più fresche e sono moltiplicate, questo è un branco di lupi, e ci sono anche dei cuccioli; da ora in poi dobbiamo fare meno rumore possibile, può essere molto pericoloso, non dobbiamo dimenticare che i lupi sono animali selvaggi e cacciatori come noi.

A questa ultima affermazione il piccolo Leo sorrise, suo padre lo aveva definito un cacciatore come lui, e non più un bambino, strinse il suo piccolo rametto appuntito, pronto ad usarlo se ce ne fosse stato bisogno, la paura e la stanchezza erano scomparse, e vedere le grandi spalle di suo padre camminare davanti a lui lo rassicurò ancora di più..

Leo si ricordò del forte abbraccio e del bacio che gli aveva dato la madre mentre lo vestiva; “sei un ometto ormai” gli aveva sussurrato mentre gli infilava il berretto di lana fatto a mano, “mi raccomando, stai attento”, poi preso un pezzo di pane e del formaggio, glieli aveva infilati nelle tasche del pesante cappotto; Leo era uscito saltellando dalla piccola casa di legno, era felice, felice di andare a caccia con suo padre, fino a quel giorno non gli era stato permesso per via della scuola e della sua età.