Carlo Bussetti | 03-04-2009 |
Trasgredire, cito dal vocabolario: "oltrepassare, deliberatamente o sventatamente i limiti imposti da una norma, da una legge, da un particolare rapporto di dipendenza". Ecco in poche parole la definizione esatta di noi trasgressori colpevoli di non avere rispettato la legge, quella legge che è "uguale per tutti". Potrei scrivere un libro su questa frase che regna sovrana in ogni aula di tribunale, ma non è questo il motivo del mio scritto; sono qui per spiegare la mia partecipazione al Gruppo della Trasgressione nella struttura di Bollate.
"Prima partecipavo, ma ora, dopo quattro anni, posso dire che ne faccio parte" disse un giorno Pasquale Forti, il nostro moderatore. Ed è questo il mio rapporto con il gruppo, non sono ancora pronto, nonostante i miei sforzi, a dire che ne faccio parte, è una crescita che sta avvenendo a piccoli passi.
Avevo sentito parlare del gruppo sin da San Vittore, dal mio amico Lumia; lavoravamo insieme all'ufficio medico e due volte la settimana spariva dicendo che andava al Gruppo della Trasgressione, non capivo cosa fosse e lui non mi dava un'esauriente spiegazione. Un paio di volte avevo sbirciato dalla porta dove si incontravano e avevo visto un folto gruppo di amici intervallato da alcune ragazze. "Ecco perché Roberto ci va ... quel galletto ", avevo pensato…
Poi è avvenuto il mio trasferimento nel carcere di Bollate, dove con tutte le buone intenzioni ho iniziato il mio percorso. Tra i vari obiettivi volevo partecipare ad alcune sedute di questo gruppo, per curiosità o forse per uscire dalla monotonia della sezione.
Mi ricordo il mio impatto con il gruppo, sono entrato nella sala cinema, dove si tengono le riunioni. "Buongiorno ... " vedo tre o quattro volti girarsi, ma nessuno mi considera. Penso: "come se la tirano, manco fossi entrato in chiesa", mi siedo ed inizio ad ascoltare, non capisco quasi niente, mi viene sonno, non riesco a entrare nella discussione o a capire di cosa parlano.
A un certo punto l'argomento si sposta sul reinserimento del detenuto e sull'impatto da uomo libero nella società. Discussione interessante! Essendo uscito dal carcere dopo 16 anni di reclusione, sono ben informato su questo argomento. Ascolto divertito un tipo che riferisce di essere prossimo a uscire, dopo 15 anni; dice che è fermamente sicuro di cambiare tutto, non tornerà mai più a delinquere e farà il bravo ragazzo. "La storia della mia vita" penso, "povero illuso, forse non si rende conto che là fuori non è così facile, anche io ho cercato di fare il regolare, ma poi come sono finito? Sono tornato di nuovo in questo circuito".
Mi ha riportato qui la paura di non riuscire a cambiare veramente, la poca convinzione a farlo, il cervello spappolato dalla coca, senza rendermi conto che calpestavo i sentimenti e la fiducia di persone che avevano creduto in me, un figlio che è cresciuto senza sapere cos'è un padre e che si è laureato senza che potessi essere presente in quel giorno tanto importante per lui. E perché? Perché ero in carcere. Quando lo vedo a colloquio dice che mi vuole tantissimo bene ed io mi sento un verme, perché non sono mai stato capace di essere padre, neanche nei due anni da uomo libero.
Non ero neanche riuscito a badare a me stesso, ed è per questo che mi permetto di criticare il pensiero del "reinserito", perché so che non è così facile; poi ascolto altri ragazzi che sviolinano il loro cambiamento. L'inserito commenta che non avrebbe coraggio di guardare in faccia le persone del gruppo se dovesse ricadere in questo circuito. Fesserie, penso. Poi, finalmente, una voce sincera, è un ragazzo giovane che senza vergognarsi si rivolge all'inserito: "lo non la penso così, è la terza volta che ritorno al gruppo, tutte le volte in cui sono uscito credevo che non sarei tornato, ed invece eccomi qui, so che posso sempre imparare qualcosa di più ogni volta che vengo e chissà che questa non sia quella buona".
Continuo a seguire la riunione. Interpellate dal "guru", le ragazze a turno dicono la loro. Parlano e dicono pure cose sensate, però noto che con uno scambio di sguardi cercano di percepire il consenso del "maestro". Poi noto che anche se l'espressione del “guru” non è di conferma alle loro affermazioni, non abbassano la guardia e si confrontano con tutti noi.
Bello, finalmente posso confrontare le mie ragioni con persone dell'altro sesso che affrontano argomenti difficili e che non si limitano a dire “...dove sei stato? Cosa hai fatto? Non toccare quella merda che non ti fa ragionare, come fai a stare sveglio tutta la notte ... smetti di fare questa vita, se torni in carcere non mi vedi più... ". Discussioni affrontate inutilmente negli ultimi mesi con la mia compagna, che impotente vedeva il proprio uomo morire ad ogni striscia.
La settimana seguente ritorno alla riunione, la sento monotona e ancora non capisco cosa facciano, mi vergogno a chiedere l'utilità di quegli incontri di cui faccio fatica a comprendere il motivo. Assonnato e annoiato torno in sezione ripromettendomi di non tornarci più, ma poi ci ripenso: se mi nascondo quando non capisco qualcosa, vuol dire che non sono in grado di affrontare le mie difficoltà e che continuo a nascondermi dietro ad una maschera.
Torno e mi accorgo che inizio a intervenire, a sentirmi libero di esporre le mie ragioni, le mie idee ed anche le mie paure. No, il gruppo della trasgressione non è una seduta psicoterapeutica, è veramente un confronto tra persone, tra esseri umani che discutono su argomenti che ci coinvolgono tutti; quello che mi ha sorpreso è vedere gli ospiti esporre, oltre che le loro idee, anche le loro difficoltà, le loro paure e rendere partecipi gli altri. Ultimamente ho scoperto che il "guru" è uno psicologo; prima sapevo solo che aveva fondato il Gruppo della Trasgressione una dozzina d’anni fa.
Quello che mi ha sorpreso è che ho iniziato a parlare del gruppo anche con persone al di fuori di esso, ne ho parlato anche con gli avvocati che vengono allo sportello giuridico, di cui ne sono volontario. Solo che la prima volta che ho detto ad un avvocato di guardare il sito del gruppo ho sbagliato l'indirizzo; quando ci siamo rivisti, lei scherzando mi ha detto che decisamente c'era qualcosa di impreciso visto che nel sito della trasgressione c'erano solo delle donne in tutina di pelle nera tipo Cat Woman con un frustino in mano… e che non erano delle amazzoni…
Col passare delle settimane nuovi ragazzi arrivano agli incontri ed io, nel mio piccolo, mi sento un veterano, anche se sono ben lontano dal definirmi tale; ma per loro, come lo è stato per me, nasce la curiosità di capire la filosofia del gruppo e la settimana scorsa due ragazzi hanno chiesto a Chiara, nel momento in cui tutti erano andati a fumare, che cos'era il gruppo e lei si è rivolta a me chiedendomi di spiegarglielo.
Baldanzoso ho letto sul mio quadernetto due parole: "è uno studio sul comportamento ... ", che dice tutto e non dice niente. Chiara, con l'eleganza di una preparata studentessa universitaria ha aggiunto: "incontri per un'evoluzione dell'identità personale". Non ho capito e sono sicuro che anche loro non hanno capito bene cosa volesse dire, ma suonava così bene che me la sono scritta sul mio libretto assieme alla mia frasetta e mi sono reso conto che vicine spiegavano in pochissime parole ciò che si poteva estrapolare dalla realtà del gruppo.
Questa è una mia testimonianza obiettiva, non ho bisogno di leccare il culo a nessuno, ho 54 anni, non sono un ragazzino che ha bisogno di compassione e non mi piango addosso. Ho sbagliato e pago, ho la fortuna che questa carcerazione, nella sua negatività, ha fatto rinascere in me sentimenti profondi verso le persone che non mi hanno abbandonato nonostante le avessi tradite. Il gruppo mi ha aiutato ad esporre le mie problematiche e mi ha dato il coraggio di ammettere la mia tossicodipendenza. Non è facile alla mia età accettarlo, ma se ne sono consapevole vuol dire che posso anche vincerla. Se qualcuno pensa che venendo al gruppo può trarne vantaggio per uscire prima ammansendo i magistrati, vuol dire che non ha capito niente. Sono un veterano del sistema carcerario e le strade da intraprendere sono altre, in questa giungla ho un bel machete affilato e sono già a metà strada, non serve a niente dire che sono reinserito sperando che gli addetti ai lavori ci credano. Personalmente posso affermare che non sono ancora pronto, è chiaro che uscirei oggi stesso, ma perché ingannarmi? Sicuramente tornerei a sbagliare! Ammettendo questa mia debolezza, aprendomi, credo che posso farcela. Ho scommesso su me stesso, forse non arriverò primo, ma certamente procedo verso il mio traguardo.