Il venditore di aquiloni |
Cesare Zubani | 18-02-2010 |
Quei segni sulle mie braccia non te li sei spiegati mai, non ti ricordi più che la notte mi stringevo a te, non ti ricordi quando il giorno vegliavi sempre su di me, ed io come un tuo satellite crescevo intorno a te, mi scaldavo del sole che tu eri per me.
Poi arrivarono le correnti gelide… tremavo di fronte alle tue crisi isteriche con papà, troppo impegnato a lavorare. Stringendoci, mia sorella e io soffrivamo insieme durante le tue assenze sempre più lunghe.
Finché un giorno non sei più tornata, e io, ancora troppo fragile, sono stato attorniato da suore pallide vestite di nero e dalle loro mani candide, ministri, rappresentanti di un uomo vissuto 2000 anni fa. Frequentavo i suoi templi, sorretti da quella croce dove, appeso, quell’uomo morto mi dava amore e sicurezza e nel suo nome ogni cosa mi veniva insegnata, anche se a volte in modo severo e noioso.
Poi un giorno, giocando agli indiani, qualcuno con un sorriso addosso ci disse “giochiamo insieme, dai, vi comprerò un aquilone rosso se lo volete”.
Lo seguimmo sfidando la sorte, il suo misterioso gioco e quell’ambigua dolcezza del suo fare. In quel gioco losco quel giorno vinsi un aquilone rosso, ma persi la mia ingenuità, quelle mani rubarono ai miei occhi l’innocenza.
Bambini ormai non siamo più, ma anche oggi, mascherato con un sorriso addosso, puoi trovare un venditore di aquiloni rossi ovunque vai; offre soluzioni ai tuoi problemi, “guarisce i tuoi mali, vedrai… c’è un infelice ovunque vai” (Mi vendo, Renato Zero), allargando facilmente la schiera dei suoi clienti, bruciando desideri e speranze con confezioni di zafferano.
Con ogni confezione riceverai un costume da re o da regina, così che tu sia il re o la regina di quella favola in cui si tramuta la vita tua, per poi però ritornare quel gobbo mostruoso, quell’incubo da cui vuoi scappare. E l’unico modo che hai è quello di comprarti un altro aquilone rosso e aspettare che si alzi il vento.