| Padre… Madre… Persecutore… |
Christian Stocola | 13-11-2008 |
Con un titolo del genere, istintivamente, ti viene da parlare del rapporto che c’è tra te e i tuoi genitori, e sicuramente questo è quello che ci viene chiesto di fare.
Io non posso certamente elogiare mio padre e tanto meno mia madre… Fin da piccolo sono stato spettatore, mio malgrado, di un film dove i protagonisti sono stati sempre e unicamente i miei genitori, noi figli potevamo essere considerati delle comparse, e infine, spettatori paganti. Dall’età di 4 anni fino ai 6 sono stato portato dai servizi sociali e da mia madre in un posto chiamato C.A.F., perché a casa mia le cose non andavano per il verso giusto. A quei tempi mio padre era una persona manesca verso mia madre e verso di noi figli. Nel trascorrere di questi due anni sembrava che mio padre fosse cambiato ed io e i miei fratelli tornammo con mia madre a casa, ma purtroppo, come spesso accade nella vita, l’apparenza inganna.
Sono cresciuto con impressa negli occhi l’immagine di mia madre che piange e grida verso mio padre implorandolo di smetterla. Uno dei desideri che avevo quando ero piccolo era quello di arrivare il prima possibile all’età di 18 anni, e non per ottenere la patente o per starmene tutta la notte a zonzo, ma per riuscire a portare via mia madre da quell’inferno. All’età di 11 anni, per la drammatica situazione che avevamo in casa, il giudice per i minori fece portare me e il mio gemello in un collegio gestito da preti Salesiani.
Non dimenticherò mai il giorno del nostro ingresso. Lì ad accompagnarci c’erano l’assistente sociale e i miei genitori. Quando era arrivato il momento di separarci guardai negli occhi mia madre e la vidi commossa, ma nello stesso tempo sollevata per questo nostro ingresso in un posto più tranquillo e sicuro di casa. Poi guardai in faccia mio padre e lo vidi piangere. Non ebbi la stessa sensazione ed emozione che provai guardando mia madre. Lei mi fece provare emozioni indescrivibili, ebbi la sensazione che qualcuno stringesse tra le mani il mio cuore impedendogli di battere, invece con mio padre riuscivo a percepire il calore del sangue e lo sentivo scorrere velocemente nelle vene, sentivo il cuore battere forte in petto, non ebbi la forza di alzare le braccia per abbracciarlo.
In quel collegio ho trascorso 5 anni. Ogni giorno pensavo a mia madre. Ogni settimana non vedevo l’ora che arrivasse il mercoledì, giorno di chiamate, momento in cui cercavo di ascoltare la sua voce per capire come stesse veramente. Finiti questi 5 anni mi diedero la possibilità di tornare a casa, io decisi di tornare a casa con i soliti problemi.
All’età di 17 anni mio padre decise di non volermi più a casa, perché ero quello che gli andava sempre contro e perché dai 15 ai 17 anni ero finito per due volte al carcere minorile, e anche per questo mio padre prese quella decisione. Io per la prima volta ero d’accordo con mio padre e senza dire una parola me ne andai a casa di un mio amico, che in realtà era la casa di sua nonna appena deceduta. Beh, dopo due settimane, quella casa mi fu messa a completa disposizione. Lì decisi di provare a realizzare il mio desiderio, ovvero portare mia madre con me, ma mia madre non venne via con me.
A quel punto continuai per la mia strada, una strada basata su illusioni e solitudine, per poi ritrovarmi a San Vittore. Ora qui in carcere mi viene presentata l’opportunità di parlare con alcune persone che mi stimolano ad affrontare alcuni aspetti della mia personalità. Lavorandoci sopra, posso dire finalmente che sto acquisendo il potere più grande e bello che si possa avere e cioè quello su se stessi. E non come avveniva tra i miei genitori, fra cui uno esercitava violenza perché frustrato e l’altra cercava la santità mantenendosi sempre nel ruolo di succube, ma lasciando in questo modo, purtroppo, che tutta quella confusione ricadesse su noi figli.