Partire | |
Enzo Martino | 04-03-2004 |
È arrivato il momento di partire. Dopo un mese di preparativi e di spedizioni di mobili e altro, siamo tutti e tre qua. A trascorrere tre ore di colloquio in saletta, un privilegio per chi deve usufruire di “tante” ore consecutive.
I nostri discorsi sono improntati soprattutto alle mie paranoie e alle raccomandazioni. Sono preoccupato e si nota ad occhio nudo, voi bambini, mi state ad ascoltare, ma sono ripetitivo da fare schifo. Capisco che la fatica è tanta, spostarvi con tutte le vostre cose, lasciare gli amici e tutti i parenti, per andare in una città diversa e lontana. Andate sicuramente a stare bene, avrete più solidarietà dalle persone che incontrerete, tutti sono a conoscenza che sto in carcere; e non vi faranno pesare questo vostro limite. In questa metropoli non c’è posto per i sentimenti ed è un peccato.
Le mie parole sono state queste. Quelle frasi per i miei figli, sono di supporto morale. Soffro per la loro lontananza, però, la mia esperienza mi dice che è meglio così, non è una scusa per farmi coraggio è la pura consapevolezza che al nord non potevano avere un’identità loro, per colpa mia.
Il carcere è concepito per distruggere i sentimenti, e annullare l’amore che le persone nutrono per te. Ma credo che ancora una volta l’amore che unisce la mia famiglia ha superato questo ulteriore ostacolo.
Le tre ore sono quasi finite. Vedo i volti tirati. I miei occhi, s’inumidiscono. Cerco d’essere forte, il mio cuore mi dice che devo tenere duro, non devo lasciarmi andare, non devo fami vedere fragile. In questo momento sarebbe inopportuno. Loro, la mia famiglia, in questo momento hanno bisogno di sicurezza, devo mantenere un atteggiamento sempre ironico. Il mondo lo sento crollare addosso. È dura. Alle loro domande rispetto a quando ci potremmo rivedere, rispondo ”forse a Natale, e pensate solo a studiare e volerci bene”.
Le risposte escono convincenti, ma la mia mente vaga per i fatti suoi; so che sarà molto difficile rivederli spesso. Immagino i loro volti una volta usciti. Il nodo alla gola mi strozza mentre rientro verso la sezione dove c’è la mia cella. La mia cella è vuota, vuota come la mia vita in questo momento.