Antonella Cuppari | 15-05-2003 |
Ciao mamma, qualche tempo fa, Enzo, un detenuto del Gruppo, ha posto questa domanda a se stesso e a tutti noi:
Cosa possiamo fare affinché i nostri figli non finiscano in carcere o, semplicemente, affinché non abbiano troppo a soffrire di quello che non abbiamo saputo dare loro? |
Tu cosa ne pensi? Che tipo di problemi e paure ti sei trovata ad affrontare con me e con le mie sorelle?
Un bambino, secondo me, sin da piccolo deve vivere in un ambiente sereno, pieno di stimoli, dove i genitori hanno un buon rapporto tra di loro; un bambino deve sentirsi protetto e, allo stesso tempo, deve essere aiutato a crescere.
Io, da genitore, ho vissuto tanti momenti difficili in cui avevo paura per quello che ti sarebbe potuto succedere. Ogni momento di distacco e di cambiamento mi accendeva molte domande; mi viene in mente il primo giorno d’asilo e anche il primo giorno di scuola… Questi erano momenti in cui, per la prima volta, tu venivi in contatto con persone nuove, con delle regole. Il mio disagio nasceva da un bisogno di darti protezione per non farti soffrire troppo per il distacco.
La prima elementare rappresenta il tuo primo incontro “diretto” con le regole della società. In famiglia, molti tuoi comportamenti potevano essere accettati, ma a scuola era necessario che tu scendessi a compromessi con gli altri.
A scuola cominciavano ad esserci i confronti coi compagni, ti accorgevi delle differenze. Da parte mia, io aspettavo che tu tornassi a casa per chiederti di raccontarmi ciò che ti era accaduto; volevo fare in modo che tu potessi sentire il mio aiuto, per farti vedere sempre anche il lato positivo delle esperienze negative che, inevitabilmente, ti trovavi a vivere. Cercavo di aiutarti ad accettare le diversità degli altri, e allo stesso tempo cercavo di farti tollerare i tuoi difetti. In quel periodo ti dovetti cominciare a spiegare il perché le persone avevano colori della pelle diversi, il perché delle regole, la differenza tra il bene e il male.
Ricordo di quando venivi a casa triste perché la tua compagna non accettava le caramelle che gli offrivi; io, da parte mia, cercavo di darti coraggio, ti spingevo a ritentare.
Quali erano le tue preoccupazioni di mamma quando io ero bambina?
La mia preoccupazione di quando eri piccola era quella di aiutarti ad inserirti, a confrontarti con gli altri e con le regole: c’era l’orario per studiare, in classe dovevi rimanere seduta al banco, per andare in bagno dovevi alzare la mano e chiederlo alla maestra...
Non è stato difficile farti accettare le regole perché tu le vivevi come un gioco; ti piaceva l’idea di poter essere grande e di poterti comportare come gli adulti.
Un’altra preoccupazione che avevo era quella relativa all’importanza di dare una risposta alle tue mille domande, ai tuoi infiniti perché sui comportamenti delle altre persone, sulle guerre, sulla religione, sulla scienza. Quando a scuola non trovavi qualcuno che rispondesse ai tuoi dilemmi, tu tornavi a casa e le riproponevi a me; non sempre, però, sono stata capace di darti una risposta esauriente. Avevo paura di non essere in grado di risponderti adeguatamente. Oggi credo che ciò che conta, non è che il genitore dia la “risposta giusta”, ma è far sentire al proprio figlio che un tentativo di rispondergli comunque c’è, che la sua domanda non è caduta nel vuoto.
Cosa è cambiato nel nostro rapporto quando io sono diventata adolescente?
Tu da adolescente mi facevi paura; sentivo il tuo “odio”, i tuoi “muri” nei miei confronti. In quel periodo mi sembrava che, con i tuoi comportamenti trasgressivi, tu volessi punire me. Io tentavo di parlarti ma i tuoi atteggiamenti erano sempre rifiutanti.
Io avevo paura di quello che facevi fuori, delle compagnie sbagliate che frequentavi. Mi sembrava che tu uscissi con quella gente per punirmi. Mi dicevi: “Io esco con loro perché la società sbaglia ad emarginarli solo perché i loro genitori sono in galera!!”.
Ho vissuto il terrore che tu potessi cambiare, “rovinarti”, commettere sbagli in un momento di debolezza. Ci furono delle situazioni in cui io venni a sapere da altri di alcune sciocchezze che avevi commesso; l’aver bevuto qualcosa in più, o altro ancora. In quei momenti, però, non ho visto “te colpevole” ma “te fragile”. Ho riflettuto molto e mi sono detta in quelle occasioni che forse c’erano state volte in cui ti avevo delusa, in cui avrei dovuto esserti più vicina.
Cosa pensavi di poter fare per me in quel periodo?
In quel periodo volevo controllarti, ma con discrezione, senza metterti il “fiato sul collo”; volevo cercare di tenere vivo il nostro rapporto e questo richiedeva molta fatica. Nonostante sapessi con che tipo di gente tu uscivi, cercavo di metterti nelle condizioni di portare a casa gli amici, per sentirti libera a casa tua; cercavo di parlare con loro per spingere te a parlare con me.
In quel periodo com’era il mio rapporto con le regole?
Ti piaceva andare contro le regole; non so se quella tua inclinazione derivava più dal piacere di trasgredire o era una sfida nei miei confronti.
Come sono cambiate poi le cose?
Non so, tu ad un certo punto, sei cambiata; hai cominciato a guardarti intorno, hai cambiato compagnia, ti sei circondata di gente nuova. Prima facevi tante cose di nascosto perché pensavi che se le avessi scoperte avrei reagito in maniera negativa. Poi hai cominciato a fare le cose alla luce del sole, ti sei accorta che avevi maggiori chance se solo mi comunicavi i tuoi desideri, le tue richieste. A poco a poco hai cominciato ad accorgerti che, pur non andando controcorrente, potevi ottenere quello che volevi, hai cominciato a renderti conto che venivi responsabilizzata e che ti veniva data più fiducia.
Cosa ti senti di dire ad Enzo in risposta alla domanda che lui ha fatto e che ti ho riportato all’inizio?
Io credo che nonostante la situazione negativa, il genitore-detenuto deve fare il possibile per mantenere il collegamento con suo figlio e questo indipendentemente da ciò che è successo. Un figlio deve sentire la tua presenza e deve sapere che tu ci sei. Prima o poi ci saranno le domande, ci saranno i perché a cui io credo sia importante tentare di rispondere.
Un genitore, sia esso detenuto oppure “libero”, non deve giustificarsi di fronte a suo figlio ma deve riconoscere i suoi sbagli.
Un essere umano, in quanto tale, commette degli errori di cui poi si può pentire. L’amore che si dimostra al figlio può aiutarlo a capire; è l’essere tagliato fuori che porta un figlio a non voler capire.
Così come il vostro gruppo cerca di mettere in comunicazione detenuti e società, vuoi che questo avvicinamento non possa avvenire tra un figlio e suo padre detenuto?
Ciò che un figlio forse fa fatica ad accettare credo sia ciò che lui è costretto a sopportare a causa degli errori del padre. La prima cosa che bisogna affrontare è questo suo problema, quello che riguarda la vita di questo figlio.
Essere genitori implica una grande responsabilità. Tutti i genitori commettono degli errori nei confronti dei loro figli e questo senza per forza essere in galera. Essi però devono mantenere accesa la comunicazione con i loro figli e con chi si occupa di loro, cercando di dare delle risposte per i loro sbagli.
Io credo che si possa essere un buon modello di padre anche in carcere.