| Tutto l'impegno possibile |
Giulio Martino | 13-09-2003 |
Mi chiamo Giulio, detenuto da circa otto anni. Sono un genitore separato, e padre di due bellissimi bambini. Il maggiore dei miei figli si chiama Anthony, di dodici anni, la minore Maria Carmela, di sette anni. Vorrei iniziare questa mia lettera parlando soltanto dei miei figli, che per circa due anni non ho avuto la possibilità di vedere.
Ci sono stati momenti che non avevo voglia di vivere, mi sembrava mi mancasse la terra sotto i piedi. Vivevo con l’ansia perenne. Alcune notti le passavo sveglio, andavo in bagno e guardavo per ore fuori dalle sbarre della finestra e mi chiedevo cosa facessero i miei figli, cosa pensavano, dove si trovavano, pensavo soltanto che stavano bene lo speravo con tutta l’anima.
A volte cercavo d’immaginare cosa pensavano di me, dopo tanto tempo mi hanno confidato che provavano le mie stesse angosce, le mie frustrazioni. Le stesse emozioni. Raccontavano che diverse notti non dormivano pensandomi.
Ritornando a me, c’erano dei giorni che andavo davanti allo specchio e mi domandavo quando avrei rivisto i miei bambini, cosa avrei fatto nel tempo prima di uscire, perché avevo perso tutte le speranze.
Un giorno si accende una luce, ho ricevuto una lettera di una ragazza che insegnava il catechismo al bambino e mi comunicava che i bambini stavano bene che era tutto ok. Alla fine della lettera c’erano alcune parole di un prete dell’oratorio che frequentavano i miei bambini. Dopo aver ricevuto la lettera, scrivo alla ragazza, ringraziandola per l’attenzione avuta nei confronti miei e dei miei figli.
Dopo qualche mese, riesco ad incontrare i miei figli. È stato un momento particolare. L’emozione era tanta da ambo le parti. Ci sono stati dei momenti dove eravamo impacciati, come se non ci conoscessimo. Ero seduto e non riuscivo ad alzarmi, poi, uno per volta, mi abbracciavano stringendomi forte e baciandomi, senza parlare. Non piangevano, non parlavano, in quel momento, eravamo felici questo contava, non le parole.
Poi, abbiamo iniziato a raccontarci tutte le cose che non c’eravamo detti per circa due anni. Quel giorno ho capito che avevano sofferto per la lontananza forzata. Cercavano in alcuni casi anche di giustificarsi, come se questo allontanamento fosse colpa loro.
La tensione pian piano stava andando via, anche se rimanevo turbato dall’atteggiamento del bambino. Cominciavo a rendermi conto che aveva un carattere diverso da come lo ricordavo. Capivo di aver perso un pezzo della sua crescita. Ancora adesso mi rammarico; sto cercando di intraprendere un rapporto più proficuo.
Da quel giorno, incontro una volta al mese i miei figli. Mi auguro che il tempo rinforzi il nostro rapporto. Da parte mia credo di metterci tutto l’impegno possibile.