| Di ritorno dal militare |
Giovanna Martino | 26-06-2004 |
Dopo molte esitazioni ho deciso di dare il mio piccolo contributo ad un argomento che mi sta molto a cuore: il rapporto genitori e figli.
Otto anni fa mi sono ritrovata catapultata in un mondo che avrei voluto conoscere dal di fuori, purtroppo, come voi sapete, non è così perché Enzo, cioè mio marito, è lì con voi. E’ inutile dire la disperazione che mi è caduta addosso, la paura di dovere andare avanti con due bambini nonostante avessi la fortuna di avere alle spalle la famiglia di Enzo e alcuni dei miei; e sì, perché purtroppo, in queste circostanze, ci si accorge di chi ti è vicino e chi no; ma torniamo ai miei figli.
Parlare di ciò che Antony ha vissuto per me è un tormento e lo è ancora di più per suo padre, un padre che ha vissuto da lontano, anzi, direi che non ha vissuto per niente perché quando è stato arrestato Antony aveva sei anni e Giuseppe uno. La mia preoccupazione non era per il piccolo ma per il grande, un’età dove inizi ad affacciarti al mondo e comincia il confronto con gli altri bambini. Spiegargli perché il suo papà non c’era non è stato facile all’inizio, cercavo di trovargli qualsiasi scusa per non fargli sapere dov’era, ma lui giustamente non capiva.
La prima volta che portai i miei figli a San Vittore fu una vera tragedia: carrozzina, biberon, pannolini, una struttura a dir poco fatiscente e inadeguata per bambini così piccoli, ma vi faccio una domanda, come si può non portarli dal loro padre?
Per un paio d’anni pensavo di essere stata così brava a fargli credere che suo padre fosse a militare; mentivo spudoratamente ad un bambino che non meritava sicuramente le nostre bugie pensando di non farlo soffrire. Non è stato così! Con il nostro modo (oggi riconosco sbagliato) di proteggerlo lo abbiamo scuramente fatto soffrire di più.
Sono stata fortunata perché è stato proprio Antony ad aprirmi gli occhi; ero troppo accecata dal dolore per accorgermi quanto le mie bugie gli stessero facendo male. Vi racconto brevemente cos’è successo.
Una sera eravamo coricati e abbiamo cominciato a parlare di suo papà, aveva all’incirca 8/9 anni, lo ricordo perché quella sera mi spiazzò completamente, continuava a chiedermi perché mai dovesse fare il militare avendo dei figli e una moglie a cui badare e perché lui sì e i papà dei suoi compagni no; a quel punto gli inventai un sacco di storie, lui tranquillamente mi guardò e mi disse: “So che stai dicendo le bugie perché papà so dov’è.” Allora scherzosamente gli dissi: “Dai, dimmi dov’è?” Semplicemente mi rispose: “In carcere. Ma io quella parola non la voglio dire per cui continuerò a dire militare” Dopo di che aggiunse: “Se tu continuerai a dirmi le bugie, io continuerò a stare male; se mi dirai la verità, anche se brutta, mi rassegnerò e mi farò una ragione perché mio papà non è a casa.”
Vi posso assicurare che da quel momento sono cambiate molte cose per me e mio marito nei confronti dei nostri figli: è sicuramente meglio una brutta verità che la più bella bugia. I problemi purtroppo con i nostri figli ci sono tutt’ora, ma li affrontiamo sicuramente in modo più onesto per quanto è possibile.
Forza amore, incomincia la discesa, ce la faremo!