Caro Giulio | |
Denise Negri | 05-11-2003 |
Caro Giulio,
sono arrivata, con fatica, alla fine del tuo racconto.
A mano a mano che gli occhi scorrevano sulle parole, la mente e il cuore delineavano i tratti del tuo papà. Ti ho visto piccolo, con lo sguardo e la spontaneità di un bambino, alle prese con problemi, sentimenti, situazioni, molto più grandi di te. La tenerezza con cui descrivi i momenti trascorsi con tuo padre, testimonia quanto grande è l’amore che continua a legarti ad una persona che tanta parte ha avuto nella tua giovinezza. I contrasti, i chiaroscuri che emergono, rendono questa storia autentica, vera, pervasa da profonda malinconia.
La mia condizione, il mio vivere quotidiano, il mio essere cresciuta in un contesto culturale, socio-ambientale tanto diverso dal tuo, non mi impediscono di sentirti vicino, di condividere le emozioni, il rimpianto di parole taciute, gli slanci d’affetto frenati… per paura, Per pudore, … o perché, forse, in quel momento, pensavi fosse giusto così…
L’esperienza del diventare padre cambia però le carte in tavola e il destino. E’ come se ogni uomo rivedesse il suo personale tutto sotto un grandangolo, sotto una luce talmente abbagliante… e i contorni spesso si confondono, le convinzioni di sempre traballano e ciò che non era importante prima di sapere lo diventa nell’attimo in cui c’è la consapevolezza più edificante! Dare la vita è comunque segno e dono di un amore grande, unico. Vivere: l’occasione che tuo padre ti ha offerto e che tu stesso hai regalato ai tuoi ragazzi, nonostante la vita abbia spesso risvolti amari, che cancelleresti dalla memoria, che avresti preferito non conoscere.
Nonostante tutto, inconsapevolmente, hai reso partecipe anche me di quel sentimento che traspare dai pensieri che hai voluto fissare sulla carta: è talmente bello che riesce a impreziosire i momenti tristi di un’esistenza. Il vero amore filiale, quello sincero, quello che nessuno potrà mai rubarti è quanto di più delicato e forte che una persona possa manifestare nei confronti di coloro che scelsero di prolungare se stessi nel tempo.
Quel casolare desolato, fatto di mattoni consumati, le erbacce cresciute in mezzo ad ogni cosa, rassomigliano un po’ all’amarezza, al rimorso di non aver fatto, di non aver detto, di non essere stato in grado di…
E’ proprio da qui che bisogna partire, scrollandosi di dosso paure, timori, inutili ripensamenti, pericolosi sensi di colpa. E’ da qui che si inizia a estirpare il pessimismo, che si ricostruisce il casolare, il morale a pezzi, per regalare, in futuro, momenti di serenità fatti soprattutto di cose semplici, come il siero caldo che tuo papà vi portava da piccoli.
E’ da qui che occorre ricominciare con una marcia in più, con un compito da svolgere, emozionante, ma tanto, tanto impegnativo: riuscire ad essere un buon padre.