| Due bambole |
Livia Nascimben | 30-06-2003 |
Ho ritrovato oggi in fondo al mio armadio una bambola di pezza con cui giocavo quando ero bambina, mi sono seduta sul letto e per qualche minuto ho ricordato alcuni giochi e fantasie che hanno riempito qualche anno della mia infanzia.
Le ricordo bene quelle due bambole di pezza con le quali costruivo storie sempre uguali, mi piaceva amarle e maltrattarle, stringerle e picchiarle, punirle e premiarle.
Una bambola indossava una gonnellina a quadretti e un grembiulino grigio, aveva gli occhi neri, i capelli rossi e arruffati e la stoffa di cui era fatta era ruvida e di un rosa molto scuro che sembrava arancione. L’altra bambola indossava un bel vestitino verde, aveva i capelli biondi e le trecce, la stoffa era liscia e di un rosa molto chiaro.
Una bambola era serena, gentile, educata, si faceva volere bene; l’altra era stanca, disordinata, capricciosa, di mal umore, distanziante. Una bambola era buona, l’altra cattiva. Una era l’immagine della poveraccia, l’altra di una principessina.
Nelle mie storie io ero la mamma di due bambine, una mamma che non voleva bene allo stesso modo alle sue due figlie, ne amava una, quella più bella, e sentiva di peso l’altra, quella più brutta. La sua bambina preferita riceveva attenzione e affetto, la sorella veniva trascurata, dormiva per terra e veniva strattonata per un braccio quando faceva i capricci perché non voleva camminare, l’altra riposava in una morbida culla e veniva assecondata quando era stanca; se tra loro litigavano la colpa ricadeva sempre sulla bambina cattiva.
Alla fine del gioco l’atteggiamento della mamma verso le sue due figlie cambiava: alla bambina cattiva voleva più bene di quanto non ne provasse all’inizio verso la figlia che sembrava essere perfetta e la bambina buona passava in secondo piano, quasi veniva dimenticata.
In estate i miei genitori andavano spesso a casa dei miei nonni e di pomeriggio portavano me e mio fratello ai giardinetti; a me piaceva osservare gli altri bambini, cercavo di identificare bambini timidi, alcuni capricciosi, altri gentili e altri ancora scatenati e quando li avevo identificati li seguivo nei loro comportamenti: quei bambini diventavano i protagonisti delle mie storie!
Tutte le mattine prima di alzarmi giocavo con la fantasia: ero la baby-sitter di un parco e le mamme che lavoravano mi portavano i loro figli da guardare. Facevo giocare i bambini, davo loro da mangiare e gli insegnavo a comportarsi bene insieme agli altri bambini. Poi la sera le mamme si riprendevano i loro figli ..e io mi alzavo e andavo a fare colazione con i miei nonni.
Cercavo di coinvolgere nei giochi i bambini timidi, coccolavo quelli gentili, tenevo a bada con le punizioni più atroci i bambini scatenati e sgridavo continuamente i bambini capricciosi, gli stessi bambini che il giorno prima avevo visto al parco.
E come con il gioco con le bambole, alla fine della giornata, mi legavo affettivamente ai bambini più deboli, a quelli con cui ero stata severa ed esigente, mi facevo perdonare tutta la cattiveria che avevo dimostrato nei loro confronti, loro dimostravano di volermi bene e io sentivo che avrei desiderato non lasciare il caldo abbraccio con cui ci dovevamo congedare.
Che ricordi! Mi sono sempre chiesta quale fosse il significato di queste storie dalla trama ricorrente che mi inventavo in solitudine nella mia cameretta o in qualche angolo della mia mente da bambina.