Posacenere

Salvatore Rovetto

04-05-2015  

Cos’è la fragilità io non lo so. Da bambino non me la potevo permettere, a casa non andava bene ma si tirava avanti, mio padre faceva il pescatore, quello che pescava lo vendeva e ci si mangiava pure, a quei tempi eravamo tre figli: due maschietti e una femminuccia. Le cose cambiarono quando venne l’obbligo della scuola elementare e per andare a scuola si dovevano comperare quaderni, libri, grembiuli, ecc..

Ma quello che guadagnava mio padre serviva per pagare la casa, la luce, l’acqua e le cose necessarie per tirare avanti una famiglia. Mio padre voleva che noi avessimo un’istruzione e allora, con l’aiuto del servizi sociali, ci misero in un collegio: mia sorella dalle suore a Palermo, io e mio fratello, invece, in un collegio più distante.

Quel giorno cambiò tutto, mia madre mi abbracciò con le lacrime e mi disse: “vengo a trovarvi ogni 15 giorni, mi raccomando stai attento a tuo fratello che è più piccolo”. Io non capivo il motivo per cui dovevamo stare in quel posto. Il collegio era misto, venivano anche gli esterni a studiare, ma pagando una retta; noi, invece, non pagavamo perché ci pensava il comune, noi dormivamo li, mentre gli esterni venivano la mattina e andavano via alle 12.30.

Le prime settimane di scuola andarono bene, fino a quando arrivò una maestra nuova un po’ avanti con gli anni, le avevamo dato il soprannome di “posacenere” perché puzzava di mozziconi di sigarette. In collegio c’erano anche i bulli che mi toglievano quello che gli piaceva.

Un giorno Posacenere decise di interrogare, ed io fui il primo. Mentre dicevo le tabelline in piedi, Posacenere girava attorno ai nostri banchi. Ad un certo punto sbagliai un passaggio, non ricordo bene quale, ma ricordo il dopo e non mi aspettavo una reazione di quel genere. Mi arrivò una schiaffo tra la bocca e il naso così forte che sono caduto all’indietro sul banco del mio compagno. Posacenere, non preoccupata del fatto che mi usciva il sangue dal naso, mi prese per un orecchio, tirandomi così forte che sentii un click, mi portò in bagno e, mentre mi sciacquava il viso, continuò a picchiarmi senza nessun motivo.

Nei giorni successivi Posacenere cominciò a prendermi di mira, mentre girava per la classe mi dava schiaffi in testa e colpi di bacchetta sulle spalle, fu una settimana d’inferno. Non so il perché di tutto questo, forse mi vedeva come un bambino fragile e debole, ero diventato più taciturno e violento nei confronti dei miei compagni.

Un giorno cambiò tutto, Posacenere si aggirava come al solito attorno ai banchi e, quando si avvicinò a me e mi diede lo schiaffo, non mi coprii il viso, anzi, invece di coprirmi con le braccia e rannicchiarmi come sempre, la guardai dritta in faccia. Lei continuò a darmi schiaffi, a me non uscì una lacrima. Lei, gridando, mi diceva di abbassare lo sguardo, ma io ero arrabbiato, non esisteva più il bambino piagnone e impaurito.

Cominciai a frequentare i bulli, il mio comportamento era completamente cambiato, picchiavo i miei compagni. Quando vennero a farci visita i nostri genitori, mio fratello si buttò tra le braccia di madre, io no! Rimasi fermo e mia madre mi chiese perché non andavo ad abbracciarla. Mi prese e mi abbracciò ma io rimasi impassibile, mia madre capì che c’era qualcosa che non andava.

Non davo più baci e abbracci alla mia mamma anche quando abbiamo finito la scuola elementare e siamo tornati a casa, io non ero più lo stesso. Oggi mi chiedo che uomo sarei diventato. Tutto ciò ha influito sul mio cammino? Sarei stato quello che sono?

L’unica cosa che so è che oggi quando abbraccio i miei nipoti e mia sorella e quando bacio mia madre lei si emoziona. Questa è la mia fragilità, ma non voglio essere fragile perché la mia corazza deve essere forte e non debole agli occhi degli altri. Avrei molto da dire ma non basterebbe un block notes, non so se quello che ho scritto può o no far parte della mia fragilità.