Giochi di luce e ombra

Antonio Catena

06-06-2014  

Da bambino trovavo naturale e affascinante come ombra e luce dipendessero l'una dall'altra. Ricordo che mi divertivo a giocare con la mia ombra, quasi fosse una mia compagna di avventure. A un certo punto della mia infanzia, l’ombra con la quale giocavo iniziò a farmi paura come se all'improvviso fosse diventata un mostro dal quale fuggire.

Nella formazione di un ragazzo conta molto l'educazione familiare e il contesto sociale in cui vive. lo sono cresciuto in una famiglia dove regole, rispetto e senso del giusto sono sempre stati la base, mentre dialogo e confronto non esistevano.

La mancanza di dialogo mi ha impedito di riconoscere un punto di riferimento con cui affrontare quelle emozioni che si presentano in un adolescente. Cercavo di integrarmi con i miei coetanei, con i quali crescevo in un contesto di ignoranza, rabbia e violenza.. Più crescevo più accumulavo emozioni negative e dolorose, rinchiudendole dentro di me, incapace di affrontarle e di esprimerle a parole.

Dovevo essere forte, forte per essere riconosciuto dagli altri, forte per emergere, forte per essere fiero di me. Più mi mascheravo da forte più mi allontanavo dalle mie fragilità e di conseguenza da me stesso. Quelle emozioni soffocate generarono un forte disagio e conflitto interiore che, una volta esploso, si è proiettato sugli altri nella forma di rabbia e violenza.

Col tempo divenni quel mostro dal quale fuggivo da bambino, io stesso ero la mia ombra quell'ombra che la società non riconosce nell'uomo, emarginata e isolata, come qualcosa da sconfiggere. Il cammino distruttivo e autodistruttivo che percorrevo mi condusse in galera, dove l'isolamento coercitivo non è stato sufficiente per permettermi di ritrovarmi, ma inizialmente ha favorito l'allontanamento da me stesso.

Il carcere è un luogo di indifferenza e abbandono sociale che ha la funzione di contenere ombre. Tutto ciò alimentava costantemente le mie ombre con rabbia e rancore. Le notti le passavo in solitudine con me stesso per guardarmi dentro, ma il conflitto era una costante. Luce ed ombra si combattevano tra loro, negando la propria relazione con l'altra. Più il tempo passava e più l'uomo che era in me spariva.

Quando in carcere tutto per me sembrava insanabile ho incontrato una persona che in qualche maniera ha segnato la mia vita. In questa persona ho riconosciuto un punto di riferimento che mi ha permesso di entrare in contatto con quelle emozioni da me isolate e sepolte nella mia ombra.

L'isolamento notturno ha cominciato a cambiare prospettiva, è divenuta un'occasione di incontro e non di scontro fra luce e ombra; entrambe hanno cominciato a riconoscersi.

Non è stato facile, perché riconoscere l'ombra vuol dire riconoscere le proprie fragilità e questo porta dolore, ma affrontare ciò porta a riconoscere la luce, quel potenziale costruttivo presente già in ognuno di noi e che non va cercato altrove.

Col tempo il dialogo tra ombra e luce ha mediato i miei confliti interiori. Oggi posso dire che il riconoscimento dell'ombra ha permesso alla luce di emergere, luce e ombra non si scindono più tra loro tramite uno scontro, ma si fondono per mezzo di un confronto.

Le guide della nostra società dovrebbero riconoscere che negare l'ombra non è la strada che porta alla luce. Dovrebbero riconoscere con se stesse e con la società che luce e ombra, come in natura, fanno parte dell'uomo. Se non si ammette questo c'è il rischio che chi parla per mezzo della luce possa proiettare ombre. Questa negazione culturale aumenta i conflitti interiori dell'individuo, facendolo sentire solo e disarmato di fronte alle proprie fragilità.

Sono convinto che se i gruppi come quello della trasgressione, dove ho trovato il mio punto di riferimento e incontri di riflessione culturale come quello che sto frequentando in carcere con il prof. Giasanti su mediazione e conflitti, si svolgessero nelle scuole medie inferiori, io e tanti come me non saremmo in galera e tragedie quotidiane che affliggono la nostra società non capiterebbero con questa frequenza.

Oggi sono consapevole che io come parte di una collettività non sono meno responsabile delle guide del nostro paese, perché a me oggi spetta educare mio figlio nel riconoscere ombre e luce come parte di ogni uomo e che è nel confronto e nel dialogo tra esse e non nello scontro e nel conflitto che egli formerà la sua identità.

È importante ricordare che i figli di oggi saranno le guide di domani.