L'anestesia dell'invulnerabilità |
Rocco Ferrara |
09-09-2015 |
Se privi un albero delle proprie radici diventa vulnerabile perché le radici sono la vita, la terra, l’acqua.
Il carcere può rendere la persona vulnerabile e invulnerabile. Le mura del carcere sono piene di dolore, sofferenza e privazione. In carcere c’è chi tenta il suicidio e chi addirittura lo attua, chi sopporta i soprusi, chi per paura non riesce a liberarsi dal passato, perché vulnerabile e incapace di prendere decisioni.
Ma il carcere può anche diventare un’ancora di salvezza se il detenuto depone la corazza da "persona invulnerabile". L’uomo, per natura, è fragile, ma se prende coscienza di questa sua condizione, può aprirsi all’altro chiedendo aiuto, quindi si può salvare. Rifiutare tale aiuto, lo porterebbe a fare la fine dell’albero senza radici.
Prendendo consapevolezza della mia fragilità, oggi posso dire che fino a qualche anno fa mi sentivo invulnerabile, ma era tutta illusione! Credendomi invulnerabile, non capivo e non sentivo il dolore! Ma il dolore è un passaggio obbligato per il ritorno alla vita.
I miei bambini mi rammentavano di quanto io fossi egoista nei loro confronti, stavo perdendo due figli: il maschio con la droga e mia figlia Giusi, all’età di 9 anni, subì un tentativo di sequestro davanti a scuola insieme ad un’altra bambina.
Accettai tutto impassibile, con il cuore in fiamme, perché non potevo fare nulla per aiutarli. Volevo abbandonare me stesso, lasciandomi andare nell’oblio, credendo che fosse l’unica via possibile da seguire.
La ricerca mi fece conoscere un modo diverso di vedere la vita. Conobbi Dio e le sue scritture, conobbi soprattutto me stesso e abbandonai per sempre l’abito scuro che indossavo, pesante come il piombo e nero come le tenebre. La luce si fece varco nel mio cuore e, pian piano, percepii il dolore affievolirsi, lasciando piccole tracce che imparai a sopportare.
La “fragilità” oggi è mia amica, ci dialogo e mi sta facendo conoscere la parte buona di me stesso e delle persone che si impegnano a farci riflettere sul nostro passato e sulla nostra vulnerabilità. Oggi guardo alle mie macerie con occhi nuovi, so che c’è un appiglio a cui aggrapparmi. Mi guardo allo specchio e dico: “Eccomi, vita, sono ancora qui per ricominciare a mettere insieme i mattoni che avevo demolito!