Rossella Dolce | 04-03-2004 |
Ho visto i tuoi occhi vuoti di te,
e ho avuto paura.
Mai più da quella volta,
in cui mi sono riflessa
nello specchio della tua assenza.
Mi piacciono i coltelli, da sempre, mi piace studiarne i particolari, sapere come sono stati costruiti, con quali materiali, mantenerli perfetti.
Li ho sempre trattati come piccoli oggetti d’arte, ogni coltello ha un senso diverso, un perché tutto suo, capace ad esempio di trasportarmi in montagna con un pastore che intaglia il manico appoggiato ad una roccia; oppure in Cina, nel silenzio misterioso e rispettoso della palestra di un maestro di arti marziali; o in barca con un pescatore che costruisce la sua nuova lenza con precisione, sperduto in mezzo ad un lago nei suoi pensieri.
In un momento particolare della mia adolescenza però mi sono sentita particolarmente fragile e confusa e incapace di comunicare quello che ero, così ho preso un coltello dalla mia collezione e l’ho messo in tasca, per sentirmi più sicura.
Mi dicevo che se io stavo meglio, tutto sarebbe andato meglio. Invece andava peggio, quel coltello aveva perso il significato che gli avevo dato in origine, aveva assunto potenzialità violente e imprevedibili perché io mi sentivo così, la mia insicurezza lo era. L’ho sentito come estraneo a quello che ero e l’ho rimesso nella collezione.
Non l’ho più portato con me e così l’ho riconosciuto: è un coltello a scatto, da teppista, perfetto nella sua potenziale offensività, sempre affilato e lucido.
Ha una particolarità, il manico di madreperla bianco: questa caratteristica vezzosamente femminile lo rende speciale, per me è il fascino del male, il potere della rabbia, la saggezza della consapevolezza, la calma del controllo, la serenità nel vedere tutte queste cose riunite in un’unica forma.