Figure silenziose

Sara Bellodi

09-04-2004  

E’ da qualche giorno che cerco di riflettere sulla lettera di Valeria, sulla difficoltà ad interrogarsi sulle ferite lasciate da gesti terribili e su quanto queste appaiano insanabili, anche di fronte alle migliori intenzioni e tentativi di comprensione.

Stasera mi sono seduta sul letto e ho guardato il telegiornale. Un uomo di trent’anni massacra una bambina di due anni e mezzo fino ad ucciderla. Ho già sentito la notizia due giorni fa, ma in qualche modo avevo fatto finta di ignorarla.

Non riesco ad interrogarmi su questa specie di male, su un male sadico, malato, disperato e gratuito inferto ad una bambina di solo due anni. Di fronte a questo non vorrei vedere e non vorrei capire, vorrei chiudermi nella mia corazza, guardare quell’uomo arroccata dentro una rabbia che rigetta parole e clemenza.

Mi sudano le mani, mi si stringe lo stomaco. Credo che, una volta sciolto questo nodo, potrei cercare di capire, iniziare a pormi delle domande. Forse questo momento arriverà, ma non è questo, non è ora.

Il telegiornale passa alla notizia successiva: nel servizio si vede un uomo giovane, magro e pallido come uno spettro, che in manette sale sull’auto della polizia implorando perdono. “Perdono” dice “Perdonatemi tutti”. Ha ucciso a coltellate due dei suoi figli, li ha distesi sul letto in un abbraccio crudele, ha telefonato alla moglie e le ha detto “Mi sono vendicato di te: ho ucciso i nostri figli”.

Sento la testa completamente vuota e contemporaneamente pesante, come se avessi bevuto troppo durante una serata con gli amici.

Quell’uomo mi fa rabbia e disgusto, tocca la parte peggiore di me, quella vendicativa, già risvegliata dalla notizia precedente. Ma mi fa anche pena, mi fa venire voglia di piangere, non solo per i suoi figli, ma anche per lui, tocca quella parte di me che ha ancora voglia di capire, o forse, più semplicemente, che non riesce ancora a giudicare, che non si nasconde dietro alla rabbia e si fa spazio senza condannare, con fatica e coraggio.

Vivo nello stesso momento emozioni opposte, che si avvicendano in un gioco incomprensibile. Non ho nulla da dire, perché non trovo nella mia testa un filo che possa cucire insieme i pensieri, c’è solo un’accozzaglia di immagini sparse: la foto di una bimba nel giorno del suo secondo compleanno, scaffali pieni di uova di cioccolato da donare ai bambini nella casa di un assassino di bambini, un uomo spettrale che invoca il perdono.

Forse domani riuscirò a comprendere. Adesso in me vivono due figure tristi e silenziose: un bambino che non crescerà mai e un uomo che non riuscirà più a vivere, malato o crudele, carnefice o disperato. Sono due figure mute che abitano lo stesso mondo, la stessa scena. In questo momento, per quanto mi sforzi di farle parlare, rimangono entrambe silenziose.