Un pugno di vite

Dino Duchini

28-06-2003  
Nel mare della vita
pochi vanno in crociera,
molti nuotano,
gli altri annegano!
Per quanto presto
ti alzi al mattino,
il tuo destino si è alzato
mezz'ora prima di te!

Roberto guardò l’orologio, erano le 16.00, aveva appuntamento con Lucio alle 17.00. Come sempre in occasione di quel genere di appuntamenti, si sentiva nervoso e insicuro. Avrebbe dovuto ormai esserci abituato; in fondo, non si contavano più, nella sua vita di piccolo balordo, le volte che si era apprestato a compiere una rapina, ma non era così. Ogni volta, deciso l’obiettivo, compiuti tutti quegli atti che credeva necessari per realizzare il “colpo”, all’avvicinarsi dell’ora, cominciava dentro di lui una lunga guerra di emozioni contrapposte.

Molte volte aveva pensato di essere un vigliacco; come chiamare se non “paura” quello che sentiva? Non sapeva dare altra spiegazione al tremore delle mani, alla sua voce che a stento riusciva ad articolarsi… per non parlare dello stomaco che sembrava serrato tra due ganasce che si divertivano a stringerlo e mollarlo!

La ragione a quel punto tentava di svegliarsi; puntuale giungeva la domanda sul perché di tutto quello che stava facendo. Come era stato possibile che lui fosse diventato un criminale?

Come conciliare ciò che sentiva di essere nel proprio intimo con la persona che invece le sue azioni dimostravano lui fosse? I pensieri giravano a mille all’ora, cominciava il solito viaggio nella sua anima, dal passato si riaffacciavano i ricordi...

Perché non riusciva a dimenticare? Avrebbe preferito un milione di volte non avere passato, che sentire il freddo della pistola sulla sua pancia. Quante volte, sul punto di rinunciare all’ennesimo atto criminoso, gli era tornato in mente quando, senza alcuna pietà, suo padre il 19 Marzo del 1969, festa del papà, gli aveva rotto la testa con la fibbia della cinghia? Il dottore lo aveva visitato davanti a sua madre in lacrime e gli aveva chiesto come aveva fatto a ferirsi così gravemente; lui, imboccato prima del suo arrivo, aveva ubbidito, dichiarando per paura che era caduto dalle scale mentre giocava.

La cosa che ancora lo tormentava, però, erano le parole di suo padre appena il medico era andato via, le aveva incise nella sua anima:

Vedi cosa hai combinato… guarda come stai facendo soffrire tua madre… questo che è accaduto è tutta colpa tua”.

Quelle parole ogni volta che le ricordava - ammesso che, per un solo istante della sua vita, gli riuscisse di non averle presenti - gli facevano contorcere l’anima. Si sentiva colpevole di quella tragedia, la maledetta sensazione di inutilità e di impotenza lo pervadeva, che solo se lui non fosse esistito non sarebbe successa! Il disagio della pistola, una “357 magnum”, diventava minore a questo ricordo, trovava dentro quelle parole una cittadinanza altrimenti impensabile e diventava, anzi, un'icona capace di esorcizzare quel dolore!

Erano però giunte le 16.15, doveva uscire per arrivare puntuale all’appuntamento con Lucio, si mise il giubbotto, il cappellino da baseball, assicurò, ben celandola, la sua “357”, si guardò allo specchio e, nonostante ciò che vedeva non gli piacesse molto, riusciva a guardarsi negli occhi… uscì. Mentre camminava per strada e poi sul tram, guardava le persone… esseri umani come lui, pensava alle sue ormai prossime vittime anche loro esseri umani, il disagio riprese ad aumentare… ma ancora in soccorso i ricordi.

Anche suo padre era un essere umano, che oltre tutto gli era sempre parso gli volesse bene, d’altra parte come poteva non essere stato così… era suo padre. Insomma non è che si potesse ipotizzare che un padre possa non amare il proprio figlio! Allo stesso tempo il fatto di sentirsi trattato con disinteresse lo spiazzava, portandolo a cercare manchevolezze in se stesso che nei suoi ricordi non trovava. E si chiedeva cosa ci fosse di umano nel modo in cui era stato trattato da lui? E andava avanti cercando i ricordi che mancavano; forse quello stesso pomeriggio li avrebbe trovati.

L’identificazione con gli altri è un processo di sofferenza che diventa impraticabile se avviene a senso unico, quello che ne rimane non è altro che una convenzione dettata da fini utilitaristici. Roberto, ormai da qualche tempo, si riconosceva solo in quelle persone che aveva avuto modo di “tastare”; per loro si sarebbe fatto ammazzare senza troppa recriminazione, gli altri, coloro che non conosceva, credeva di non potersi permettere il lusso di considerarli “esseri umani”.

Tuttavia nelle sue azioni criminose riteneva di comportarsi con una certa “etica”; faceva il rapinatore convinto che mai avrebbe fatto del vero male fisico ad alcuno, basava la sua attività non tanto sulla violenza vera, ma sulla sorpresa e quel poco di paura necessaria a rendere le sue vittime immobili il tempo necessario. Molte volte si era chiesto come si sarebbe comportato di fronte alla reazione di una sua vittima, mai ammettendo che avrebbe usato l’arma per offendere, scacciava quei pensieri confidando, troppo, sulla sua decisione e scaltrezza.

Ecco il disagio cominciava a passare, la sua faccia indossava un’espressione determinata, le persone che lo circondavano assumevano le fattezze di perfetti sconosciuti… e il tram arrivò alla sua fermata.

Scese con passo deciso, voltò l’angolo… senza farsi notare sbirciò se sul luogo dell’appuntamento c’era Lucio, lo vide… e vide anche a pochi metri il motorino che avevano rubato la notte passata per andare a fare “il lavoro”. Si avviò verso Lucio, lo raggiunse e gli chiese come andava: “Non è che hai qualche ripensamento?
Ciao… no, ci sono, ho una dannata paura, ma tra un poco tutto sarà nella norma, quando vuoi andiamo…

Si voltò, guardò verso l’angolo, il loro obiettivo era lì… un “Bar Tabacchi” che prometteva un buon bottino, la zona era centrale, molto rischiosa, ma se avessero fatto velocemente tutto sarebbe andato per il meglio. Intravide la faccia del titolare, i suoi capelli bianchi… ancora una volta quella sensazione di disagio, questa volta più forte, gli bloccava le gambe. Ancora un sussulto della memoria, quando ancora non faceva il delinquente e cercava una sua dimensione nella società.

Allora aveva un lavoro in proprio, grazie ai risparmi della madre, gli era stato possibile mettere su un’attività con alcuni soci, che erano più anziani di lui ma anche tronfi e arroganti. Non gli piaceva come agivano, sempre pronti a comprarsi favori da un politico o da un vigile di quartiere, lui si sentiva a disagio nel prevaricare gli altri grazie alla collusione col potere istituzionale, ma col tempo si era adattato, aveva visto che le cose andavano così un po’ dappertutto.

L’attività, uno splendido ristorante in campagna, era gestita da lui, i suoi soci erano entrati in quella società per prestigio, finanziandone una parte. Ma l’investimento era stato sbagliato all'origine e, nostante Roberto fosse abile, i guai non tardarono ad arrivare. Subito i suoi soci, benché egli avesse messo tutti i suoi soldi in quell’attività, fecero in modo che le colpe ricadessero su di lui e riuscirono a buttarlo fuori dividendosi il poco che era rimasto.

Fu allora che, dopo mesi di inutili ricerche sui molti perché di quel fallimento, sentì di non volere fare parte di quella società che gli sembrava debole con i forti e forte con i deboli. Come spiegare il complice silenzio di quel medico davanti alla sua testa rotta? Come spiegare l’infierire dei suoi “soci" su di lui, che certo non aveva più colpe di loro? Davvero i soldi avevano tutta quell’importanza da giustificare che si potesse calpestare la dignità degli altri? Quelli erano i canoni della società, quelle le regole cui sottostare? Non ci riusciva, il suo modo di essere lo portava inevitabilmente dalla parte dei perdenti.

Quella sensazione di impotenza lo umiliava oltre modo, si sentiva un essere miserabile, inetto per qualsiasi funzione… ogni comunicazione con i suoi simili si era interrotta. Aveva cercato di farsene una ragione, di ricominciare… ma ogni cosa aveva perso interesse, era ormai convinto che qualsiasi cosa facesse sarebbe stata un fallimento… era prostrato e in una situazione di apatia che come in un vortice lo portava sempre più giù! Fu allora che decise di intraprendere la sua carriera criminale, forse anche in maniera un poco fortuita. Ma così, lentamente, nonostante tutti i rimorsi, cominciò a recuperare fiducia in se stesso.

Toccò la sua “357” attraverso il giubbotto, la sensazione fu di sicurezza e onnipotenza… si voltò verso Lucio: “Andiamo…”
Lucio lo guardò, quegli occhi cattivi e determinati lo intimorirono, ebbe un’esitazione:“Senti guarda che però ho un brutto presentimento…”
Lucio, hai detto che ti servivano i soldi per il bambino… perché non provi ad andare a chiedergli se te li presta… se lo fa non lo rapiniamo… che dici?

Non devi temere vedrai che non succederà nulla, quello appena vedrà la mia pistola farà il bravo, mica lo sa che noi la vogliamo usare solo per spaventarlo? Noi non gli facciamo male fisicamente, prendiamo solo i soldi… che c’interessa della sua vita… vedrai che sarà intelligente da capirlo. Chi come lui ha raggiunto la sua posizione non dà ai soldi lo stesso valore che gli diamo noi con la nostra disperazione. Lui sa che la sua vita è ben più preziosa di quei soldi che gli portiamo via… la sua vita vale molto di più della nostra!”

Lucio lo guardò:
"O.K. dai andiamo, facciamola finita in un modo o nell’altro
Salirono sulla moto, partirono… davanti al tabaccaio si fermarono, con apparente calma scesero, si avviarono verso l’entrata, le gambe e le mani tremanti… ma appena superarono la soglia tutto passò… ormai il momento dell’azione era arrivato e dovevano farsi forza… e forza fu!

 

Mentre alzava le serrande del suo Bar-Tabacchi, in quella mattina di tarda primavera, il signor Angelo si sentiva contrariato dal non potere apprezzare l’aria frizzante, inquinata dalle molte macchine ferme al semaforo di fronte al suo locale. Si scrollò le spalle ed entrò dopo sua moglie, che già si era lanciata verso le faccende abituali all’apertura dell’esercizio; lui andò dietro alla cassa e ai rituali gesti della sua attività, ma il suo pensiero non era lì.

Era un periodo che era stressato, molto probabilmente la primavera agiva sulla sua stabilità emotiva, lui era sempre stato un tipo sanguigno dotato di una forza niente affatto muscolare, ma puramente nervosa. Ormai erano tre o quattro anni che con il giungere della primavera si sentiva a disagio, come se il cambio di stagione lo svuotasse delle sue energie, questo lo faceva sentire indifeso… quasi impotente!

Vi era poi il continuo stress del suo lavoro, che amava, ma che ogni giorno diventava più difficile, infatti, alle ovvie difficoltà tecniche si aggiungeva il pessimo periodo economico che rendeva difficoltosa la conduzione di quell’esercizio dai costi sicuramente notevoli.

Nella sua vita era stato sempre attivo, aveva sempre reagito alle avversità in tutte le maniere possibili, d’altra parte, figlio di un eroe cattolico della resistenza partigiana, si riteneva uomo giusto per aver sempre praticato gli insegnamenti del padre. Certo nella sua vita, la difficile vita del dopo guerra e poi della ricostruzione del paese, dove gioco forza si doveva praticare in alcune situazioni il compromesso con i propri principi d’onestà, anche lui talvolta era stato costretto a cedere, creandosi una sua onestà ideale che non era proprio lo specchio delle leggi vigenti. D’altra parte, la normalità era quella, nessuno sarebbe sopravvissuto denunciando al fisco ogni sua entrata; da lì la “necessità” di evadere una parte delle tasse. Anche per ottenere le licenze era stato costretto a ungere qualche ruota, ma sì sa… come fare altrimenti!

Quello era uno dei ricordi di cui più si vergognava, per la prepotenza subita e l’impotenza dimostrata nell’affrontare la situazione. Infatti, aveva ancora nitido nella mente il ricordo di quando appena acquistato il suo primo esercizio; nel 1977 era divenuto obbligatorio il conseguimento del REC per essere titolare di un esercizio. Il rischio di perdere tutto quello che aveva investito era reale: dopo avere ottenuto una deroga speciale, avrebbe dovuto studiare ed essere obbligatoriamente promosso, altrimenti avrebbe dovuto vendere in fretta… molto in fretta, con tutte le conseguenze della cosa. La situazione era molto difficile perché sia lui che sua moglie erano pratici del lavoro, ma per le incombenze amministrative si erano sempre affidati al commercialista. Le necessità della vita non gli avevano permesso di studiare, anche perché non si era mai sentito portato nello studio e quindi era poco più che analfabeta; suo figlio ancora minorenne non poteva essergli di alcun aiuto.

Fu allora che il suo commercialista gli presentò una persona autorevole, in quella che era la scuola che avrebbe dovuto seguire; naturalmente il medesimo gli fece capire come il favore che gli avrebbero fatto avrebbe dovuto essere remunerato. Non gli andava quella soluzione, a volte gli sembrava di vedere la figura del padre che lo ammoniva dall’accettare, ma nonostante le esitazioni, i ripensamenti tali e tanti… la situazione era così drammatica che ebbe persino un’ulcera nervosa allo stomaco, alla fine cedette e accettò! Ottenne la certificazione del REC, pagò profumatamente, ma purtroppo non finì lì; dei galantuomini cercarono e riuscirono a ricattarlo estorcendogli dell’altro denaro.

Ormai alla loro mercé, si sentiva perso, la sua frustrazione per come si sentiva un vigliacco lo immise in un vortice che lo trascinava sempre più in basso. Al limite della sopportazione, decise di chiedere aiuto ad un suo amico delle forze dell’ordine. Ma questi, una volta prese le dovute informazioni sui galantuomini, gli propspettò come unica soluzione quella di non farseli nemici, perché personaggi troppo potenti da affrontare a viso aperto attraverso la legge. Questa risposta ebbe l’effetto di un tremendo schiaffone in faccia, uno schiaffone che lo scosse dallo stato in cui era.

Fu così che decise di affrontare la situazione di petto. Invitò con una scusa i due galantuomini una sera nel suo esercizio; quando, la sera dell’appuntamento, essi si presentarono, il sig. Angelo li fece sedere, offrì loro da bere, poi sì allontanò… chiuse le porte dell’esercizio.

Nel tornare verso di loro passò vicino al biliardo… nella sua lucida disperata confusione prese una stecca del medesimo, si catapultò dai suoi ospiti e cominciò a menare a destra e a manca! Non si fermò, fino a quando, coperti di sangue, i suoi ospiti non lo supplicarono d’avere pietà. In un attimo di lucidità li guardò. No, non si sentiva sazio… nulla lo poteva ripagare per l’impotenza che aveva masticato. La furia omicida gli si leggeva nello sguardo… i due comprendevano di rischiare la loro vita e strisciavano sul pavimento chiedendo pietà!

Lì guardò… si guardò, si fermò con la stecca minacciosa come una spada tra le sue mani tremanti, avrebbe voluto con un solo colpo staccare quelle due teste… gli venne in mente… vide la figura di suo padre che piangeva, e si bloccò: “… mi avete rovinato, ma vi risparmio la vita… se vorrete potrete denunciarmi… ma sappiate che quando uscirò dal carcere non avrò pace fino a quando non vi ammezzerò.”

Non li rivide mai più, rimosse quella drammatica parte della sua vita, anche se ancora oggi era costretto a piccole mance a qualche funzionario preposto al rispetto della legge. Ogni volta che gli accadevano quelle situazioni le viveva male, ma cercava di evitare conflitti; non sempre si è in grado di affrontarli con la decisione di quella volta. D’altra parte in uno Stato come il nostro chi non infrange una delle numerosissime leggine? Considerava per ciò quelle mance come delle multe, cercando di non vedervi l’estorsione!

Inoltre c’erano state le rapine, ne aveva subite già due, anche se, tutto sommato, non era tanto il mal tolto che lo irritava: con pochi sapienti espedienti riusciva a tenere in cassa solo il necessario; alla fine si trattava di poche lire. Quello che non riusciva a digerire era la situazione di impotenza patita in quelle circostanze. Entrambe le volte aveva provato l’umiliazione dell’inetto, la sensazione di vigliaccheria dettata dalla responsabile paura a reagire.

Spesso aveva visto in quelle sensazioni le medesime che l’avevano portato a quella tremenda reazione del passato! Tra l’altro la reazione gli pareva cosa possibile, infatti, li aveva visti bene in faccia i suoi rapinatori: erano esseri deboli, nonostante l’armamento.
Si era chiesto più volte come questi scellerati potessero affidare le loro vite a quelle pistole che sembrava non riuscissero neanche a tenere in mano. Poi scacciava quei pensieri ripromettendosi di trovare il modo di difendersi… non voleva più essere umiliato! Certo pensava anche al pericolo, visto che l’ultima volta avevano tenuto sotto minaccia sua moglie, ma dentro di lui sapeva che quegli scellerati volevano solo i soldi… ma erano le sensazioni di umiliazione e impotenza che non voleva più subire.

Per questo si era comprato una pistola, aveva fatto sapere in giro che ne era in possesso, convinto che questo già sarebbe stato un deterrente; se poi non fosse bastato, pazienza! Nel caso fossero venuti a rapinarlo un’altra volta, se ne avesse avuto l’occasione, aveva deciso di reagire… certo non avrebbe sparato, ma se ci fosse riuscito avrebbe immobilizzato i rapinatori fino all’arrivo della forza pubblica. Era disposto a correre dei rischi piuttosto che subire un’altra volta, anche se spesso la ragione, di fronte a questi pensieri, lo convinceva alla prudenza. In fin dei conti i suoi valori lo portavano a considerare la vita umana il più alto dei valori.

Delle rapine gli era venuto in mente perché abbassandosi a prendere delle scorte sotto il banco, aveva visto la sua pistola… un’arma che, pur piacendogli ogni volta che la toccava, gli dava una sensazione di disagio. Ma quel giorno no… si sentiva onnipotente allo sfiorarla, tanto da fargli passare quella sensazione di insicurezza che ultimamente aveva.

Abbandonò quei pensieri ormai si era all’ora di punta, il bar si affollava e quindi bisognava essere ben presenti sul lavoro, il personale era arrivato, anche suo figlio era giunto al lavoro, tutto filava nella normale quotidianità. Erano giunte le 17.00, il flusso del lavoro cominciava a diminuire, suo figlio era andato via portando con sé quasi tutto l’incasso della giornata per versarlo in banca. Lui era alla cassa per riposarsi un poco, tra non molto sua moglie sarebbe andata a casa per preparare la cena e lui sarebbe rimasto sino alla chiusura con il barman che faceva il secondo turno.

Nell’allungarsi per prendere delle caramelle sulla parte interna della cassa, quella vicino alla vetrina, diede un’occhiata fuori, soffermandosi per un attimo con lo sguardo sull’altro lato della piazza.
Notò due giovani vicini ad un motorino su cui stavano salendo… non li aveva mai visti! Diede le caramelle al suo cliente insieme al resto, ma aveva una strana sensazione che si cominciò a concretizzare quando vide i due giovani del motorino sulla soglia del suo bar.

 

Lucio andò verso il bancone, Roberto, fingendo di prendere i soldi dalla tasca, si avvicinò alla cassa, guardò rapidamente alle sue spalle e, rivolgendosi al gestore, abbozzò un sorriso: “Due caffè e un pacchetto di Marlboro… per favore”
Il signor Angelo lo guardò con diffidenza, mentre batteva lo scontrino, senza distogliere lo sguardo, disse: “ sono quattro euro e ottanta…”
Roberto si accorse della tensione e decise di fingere di pagare, gli diede dieci euro, il signor Angelo parve rilassarsi… Roberto diede un rapido sguardo a Lucio e, di scatto, impugnò la sua “357”.

In un attimo girò intorno alla cassa, puntò la canna della pistola alla testa del sig. Angelo e, premendogliela sulla tempia, lo minacciò: “Non ti azzardare a fare un fiato… ti ammazzo come un cane… apri la cassa e dammi tutti i soldi, anche quelli hai nascosto lì sotto… tieni qui c’è un sacchetto, metti tutto lì… anche i valori bollati… muoviti bastardo che se no vi ammazzo a tutti quanti…

Mentre diceva queste parole guardò ancora Lucio, che nel frattempo aveva sotto la sua minaccia la moglie, il barman e due avventori del bar, capì che era tutto sotto controllo e dedicò tutta la sua attenzione al signor Angelo.

Egli era paralizzato, con gesti d’automa stava riversando i soldi nel sacchetto… si abbassò per prendere i valori bollati… sfiorò la pistola nascosta sotto, ebbe un’esitazione.

Roberto se ne accorse, pensò che stava facendo il furbo cercando di nascondere qualche valore, con la mano libera gli diede un tremendo ceffone: “SCIAFF”.

Il rumore più fragoroso del dolore, l’intontimento, la paura, l’impotenza, l’umiliazione la vigliaccheria! No, il sig. Angelo non voleva subire ancora quell’umiliazione! I suoi occhi avevano cambiato espressione, mentre guardava quel miserabile che gli puntava la pistola. Gli sembrò di vedere un sogghigno sul suo volto, girò lo sguardo… a pochi centimetri dalla mano la sua pistola, il colpo già in canna e nel rialzarsi se la ritrovò in mano senza accorgersi, immediatamente la sensazione di essere onnipotente… ora poteva annientare quel sogghigno.

Roberto lo guardava lì a terra tenendolo puntato con la sua “357”, tutti i fantasmi del passato erano lì ai suoi piedi… tremanti e ubbidienti. Non gli importava quasi più nulla del bottino, provava netta quella sensazione di onnipotenza… era lui che aveva in pugno quella vita… questo è quello che si prova ad essere tiranni!

Si girò un solo attimo per guardare dalla parte di Lucio, ma quando tornò alla sua vittima trovò il buco nero di una canna di pistola davanti ai suoi occhi…

Dopo un attimo di panico, Roberto si riprese: minacciava il signor Angelo che a sua volta saldamente contraccambiava, i due sguardi su rive opposte, ma simili!

Dall'altra parte della riva: il sangue necessario alla loro sopravvivenza, quello era il bottino… quali soldi! Non interessavano più, in ballo era il primato della forza… unica ragione che può fare sopravvivere due bestie ferite.

Non esiste vita nell’umiliazione, non esiste vita nella vigliaccheria… meglio morire! Lucio gridò, Roberto sì scosse… vide il suo amico che trascinava la moglie del signor Angelo. Rinfrancato, lo avvertì: “O.K. adesso me ne vado, non fare scemate perché ci rimette tua moglie…”.

Voleva farsi dare la pistola, ma gli occhi del signor Angelo gli dissero che mai l’avrebbe ottenuta; non perdendolo d’occhio cominciò ad indietreggiare sino ad arrivare da Lucio che però, sfinito, lasciò la donna prima che lui la potesse acchiappare… e la donna cadde a terra tra le lacrime.

 

Lucio era già fuori verso il motorino pronto alla fuga e proprio a quel punto sentì una botta tremenda. Il colpo l’aveva colpito di striscio al braccio… un attimo lungo una vita, il dito sul suo grilletto contratto… ma non ci riusciva, non ce la faceva a sparare… il panico ebbe il sopravvento, scappò, arrivò al motorino mentre sentiva altri colpi, vi saltò sopra…

Lucio diede gas, l’inferno alle spalle si allontanava e lui non aveva cuore per voltarsi a vedere cosa succedeva.

Fatti qualche centinaio di metri tra il rumore degli spari, all’improvviso sentì un dolore lancinante alla schiena, si trovò per terra senza più riuscire a vedere nulla… il freddo e il buio si erano impossessati di lui!

 

“L’ultimo passo della ragione
è di riconoscere che ci sono
infinite cose che la sorpassano"

 

Il signor Angelo aveva visto solo il corpo di sua moglie per terra, non vide più niente e sparò una, due, tre volte… non c’era più nessuno sulla soglia del suo bar, si precipitò di corsa fuori. Non pensò neanche per un attimo di fargliela passare liscia, questa volta la figura di suo padre non arrivò…

Vide il motorino che si allontanava, si mise in posizione ed in rapida sequenza sparò alcuni colpi sino a quando non vide il motorino barcollare.

Quando si accorse di avere colpito il bersaglio il tempo sembrava essersi fermato, quei zig zag durarono un’eternità…

ma finirono appena quel motorino e chi ci stava su rovinarono a terra.

Guardò le sue mani… guardò il motorino, nulla nella sua mente riusciva a prendere forma, entrò nel bar e si accartocciò su se stesso senza riuscire a sentire più nulla!

 


Il racconto è stato liberamente ispirato da una triste vicenda di cronaca milanese, quella in cui, a seguito di una rapina, il titolare di una tabaccheria ha reagito uccidendo uno dei rapinatori. L’enorme clamore che questa vicenda ha suscitato nell’opinione pubblica è giunto sino all’interno del carcere; molte sono state le considerazioni da parte nostra, visto che, sul piano emotivo, ci siamo sentiti parte in causa!

Dopo un po’ di giorni dall’accaduto abbiamo cominciato a parlarne al “Gruppo della trasgressione”. L’argomento è per noi detenuti uno dei più difficili da affrontare.
Dopo avere commentato il modo in cui il problema era stato trattato da alcuni giornali e da alcuni programmi televisivi, si è arrivati alla considerazione che, tra tutte le voci che si erano occupate di questa vicenda, mancava quella dei rapinatori.

Da quel momento, abbiamo cercato di elaborare un pensiero, sperando che possa essere di una qualche utilità per la società civile. Crediamo che la società abbia la stessa nostra necessità di comprendere come molte situazioni di questo tipo si determinano. Ognuno di noi, tra una riunione e l'altra del gruppo, ha provato a ricostruire quelle emozioni che, da vittime e da tiranni, abbiamo vissuto.

Il racconto qui elaborato ha solo tratto ispirazione dall’accaduto, non è portatore d’alcuna verità storica, è invece portatore di emozioni alla ricerca della loro storia.

Convinzione del nostro gruppo è che per noi dentro e per la società fuori sia utile parlarsi. Noi che siamo qui stiamo prendendo coscienza di come alcune dinamiche che ci hanno determinato, fermo restando la personale responsabilità penale di chi commette dei reati, sarebbero state probabilmente meno schiaccianti se ne fossimo stati più consapevoli.

Nella speranza che questi sforzi possano portare ad un confronto con la società al di fuori delle mura, non ci resta che aggiungere un sentimento di cordoglio per il giovane rapinatore morto e di sofferenza per il tabaccaio nella sua duplice veste prima di vittima e poi di tiranno.