Tre minuti per morire |
Tiziana Pozzetti |
22-01-2012 |
C'è un cigno sul palco: è un ballerino che recita la sua parte. Lo spettacolo è "La morte del cigno". Ma questa volta il cigno non vuole morire. "Ricordati che hai solo 3 minuti per morire" gli ha detto il regista prima che entrasse in scena. Ma c'è qualcosa di strano in questa frase, qualcosa di terribilmente "sbagliato".
Provo a indossare un po' le vesti del regista e un po' quelle del ballerino, per capire cosa si prova a "decidere" e cosa a "obbedire". Cosa succederebbe se fosse il ballerino a dire al regista: "ricordati che hai solo 3 minuti per morire".
Perché ci siamo concentrati su una sola funzione del regista? Abbiamo detto che il regista ha il compito di stabilire le regole che consentono allo spettacolo di funzionare. Tuttavia, perché tali regole non siano mere imposizioni, ma confini che "contengono e guidano", il regista deve saper adempiere anche alla funzione complementare di facilitare le condizioni affinché si produca lo spazio entro il quale il ballerino possa ballare.
È un figlio il ballerino, che sta chiedendo al proprio padre di lasciargli lo spazio per recitare la propria parte, la propria vita. Gli sta chiedendo lo spazio per crescere, allargando i propri orizzonti e sperimentando la propria autonomia. Può morire il figlio solo se il padre sa essere d'esempio.
Nell'arroganza del cigno che non vuole morire, si ripete l'arroganza del padre che non sa farsi da parte di fronte alle spinte emancipative di un figlio che chiede uno spazio in cui esistere. Il desiderio d'immortalità e di onnipotenza si trasforma in una coazione a ripetere che rimbalza tra le generazioni. La storia continua a riprodursi uguale a se stessa perché il padre non sa accogliere il significato della protesta del figlio, così come il ballerino, concentrato sulla propria performance, non sa accogliere la protesta del pubblico, esasperato e annoiato di fronte alla patetica caparbietà del cigno che fa di tutto per non morire.
Nessuno comprende che la morte è solo simbolica: sul palco, dietro alle quinte e in platea, sembra che in nessun luogo ci sia lo spazio per riflettere su questo pensiero. Il regista anela solo al successo del proprio spettacolo, nella sua mente non possono trovare accoglimento le perplessità del ballerino, le sue paure e le sue angosce. Il ballerino a sua volta si sente intrappolato nei limiti imposti dal tiranno: "hai solo 3 minuti per morire" si trasformano nella sua mente in "ti concedo solo 3 minuti per vivere" e così lotta per sfuggire alla profezia paterna avallando col suo comportamento cieco e sovversivo la propria condanna all'eterno anonimato, confinato nella prigione del proprio fallimento. Un oblio con "fine pena mai" sembra attenderlo.
Come sarebbero diverse le cose se solo il padre sapesse comunicare al figlio che la morte è solo simbolica e che scendere dal palco non significa scomparire nell'oblio! Se solo il regista sapesse trasmettere al ballerino la fiducia che lo spazio necessario per crescere c'è, e che la morte di quel cigno non è "la fine" ma il presupposto necessario per poter diventare altro: su un altro palco, in un altro spettacolo.
Se il padre sapesse morire "solo per 3 minuti", potrebbe insegnare al figlio che è necessario continuare a rinascere per poter crescere. Non avremmo più farfalle se tutti i bruchi si ostinassero a non morire. Non può vivere il figlio, se non sa morire il padre. Non può morire il ballerino se non ha la fiducia che il regista sta coltivando per lui nuovi spettacoli per il suo futuro e per continuare a mettere in scena la narrazione della propria vita. Possiamo permetterci di morire solo se sappiamo di poter rinascere nella mente di qualcuno che ci aiuta a mantenere la continuità narrativa della nostra storia. Penso che il nostro cigno potrà morire quando troverà qualcuno in grado di dirgli: "ricordati che hai solo 3 minuti per morire. E tutto il resto del tempo per vivere, per crescere, per coltivare la tua parte, i tuoi desideri e le tue peculiarità".