Il dolore del ballerino

Bruno Turci

 

22-02-2012

Cari amici del Gruppo della Trasgressione, la lettura della presentazione della “morte del cigno” mi ha restituito il piacere delle esperienze vissute al tavolo del gruppo. Mi sento onorato di partecipare a questo appuntamento, che mi pare corrisponda anche a una tappa significativa del cammino del gruppo e della sua capacità di coinvolgere vari settori della società.

L’immagine del cigno che non vuole morire e dell’attore che rifiuta di abbandonare la scena la leggo come la metafora del mio viaggio nella vita e delle paure da cui ho cercato di fuggire. Il rifiuto di abbandonare è per me la paura di chi, una volta concluso il proprio spettacolo, si sente costretto a tornare nei panni della persona comune, in quella normalità quotidiana in cui ci si può sentire anonimi e dimenticati.

La paura di vivere senza l’applauso svela l’incapacità di affrontare quelle salite ripide che spesso il cammino della vita impone. Il cigno non vuole morire forse perché, prima di schiantarsi sulla scena della vita, vorrebbe poter dire a qualcuno le cose di cui non ha mai avuto il coraggio di parlare prima.

Mio padre è morto senza che io fossi riuscito a dirgli le parole che avevo nell’animo da molto tempo. Poi le ho dimenticate io stesso e sono rimasto tanto tempo e, in parte, forse sono ancora oggi in attesa che il profumo del rosmarino possa sciogliere la crosta sotto la quale rimangono nascoste. Sì, mi pare di capire il dolore del ballerino.