Il cigno e il bullo |
Tiziana Pozzetti |
27-11-2011 |
E se l'ostinazione del cigno fosse funzionale al sistema?
Quando parliamo di bullo ci riferiamo ad un ragazzo aggressivo, prepotente, coercitivo nei confronti dei propri compagni. Accanto a questi comportamenti delinquenziali, però, il ragazzo mette in scena anche una forte quantità di energia. Se da una parte l'atteggiamento del bullo è volto a calpestare ogni codice socialmente condiviso, dall'altra contiene in sé uno slancio vitale, un desiderio di riconquistare, tramite la distruzione, un mondo in cui non si riconosce perché da esso non si è mai sento riconosciuto.
Il ballerino de “La morte del cigno” interpretata da Renato Converso, dopo anni di anonimato, si ritrova protagonista della scena a causa di un malessere improvviso del titolare per quel ruolo. Ecco la grande occasione: finalmente potrà mostrare le sue abilità, finalmente potrà coronare il suo sogno. Ben presto però il sogno si trasforma in un incubo e quella che doveva essere “la grande occasione” diviene un imbarazzante fallimento: il cigno non vuole morire e il pubblico, ormai stanco e infastidito, inizia a fischiare e a tirare oggetti sul palco. Il ballerino però, sordo ad ogni avvertimento, interpreta questi gesti come segnali d'apprezzamento per la sua bravura e intensifica ulteriormente i propri sforzi per tenere in vita un cigno che assomiglia sempre più ad un patetico pagliaccio.
L'opportunità offerta al nostro sconosciuto ballerino di divenire per la prima volta protagonista è un “treno verso la vita” su cui egli desidera ardentemente salire. Possiamo immaginare che un treno simile possa aver inizialmente attraversato l'esistenza di un ragazzo, e che egli, dopo averlo perso, si sia lasciato catturare dagli atteggiamenti da bullo. Essere riconosciuti, sentirsi valorizzati sono desideri vitali, naturali. Ciò su cui si discute, quindi, non riguarda il desiderio, legittimo, di “salire sul palco”, quanto piuttosto la sordità e lo stordimento che impediscono al ballerino, e al bullo, di trovare un equilibrio fra la portata della propria aspirazione e le conseguenze del proprio agire.
Il ballerino assume quegli stessi atteggiamenti di un ragazzo che, crescendo, si ritrova a fare i conti con il difficile compito di maturare un equilibrio tra il desiderio di esprimere e affermare se stesso, da una parte, e l'esigenza di tenere in conto “gli altri” dall'altra. Un compito evolutivo che non dovrebbe destare particolari preoccupazioni se non fosse che, nel caso del nostro ballerino, alcuni fattori impediscono la fisiologica risoluzione di questo conflitto. Cos'è quindi che si inceppa nella storia del ballerino e in quella del bullo? Diversi aspetti sembrano accomunarli:
Le riflessioni tenute al Gruppo della Trasgressione su questo argomento hanno portato Aroua Imed a dare al cigno le sembianze di un toro, per via della sua ostinazione, testardaggine, forza, arroganza e aggressività.
Sofia Lorefice, nella discussione dopo la lettura dello scritto, richiama l'attenzione sul ruolo giocato dal pubblico: “come nella corrida il pubblico finisce con l'identificarsi un po' con il toro e un po' con il torero; è da lì che nasce la tensione e l'eccitazione. Così anche chi assiste al monologo di Renato Converso si identifica ora nel ballerino ora nel pubblico”.
Il pubblico utilizza il ballerino come contenitore nel quale espellere le proprie istanze aggressive e liberarsene. In questo senso il ballerino diviene una “vittima designata”, atta ad accogliere le parti problematiche di cui il pubblico vuole liberarsi. Ma le proiezioni del pubblico mixate con i bisogni e gli istinti insoddisfatti del ballerino, concorrono ad esasperarne sempre più il comportamento, invece di convincerlo a lasciare il palco e a guadagnarsi la stima e l'affetto in altro modo.
Allo stesso modo è interessante domandarsi quanto l'atteggiamento del bullo in classe si inserisca all'interno di dinamiche di gruppo dove gli altri alunni della classe, facendo da platea alle malefatte del ragazzo, incoraggino in realtà i suoi atteggiamenti di sfida. Secondo questa logica i compagni di classe utilizzerebbero il bullo come contenitore delle istanze sovversive e dei sentimenti aggressivi che avvertono dentro di sé e che, una volta proiettati e confinati nel personaggio del bullo, possono essere vissuti e controllati attraverso i suoi comportamenti trasgressivi, senza così mettersi in pericolo in prima persona.
Anche in questo caso il bullo, a causa del suo temperamento e di un forte bisogno di riconoscimento, generalmente esasperato da un ambiente poco atto ad accogliere i suoi bisogni e le sue spigolosità, diviene facilmente la vittima designata che assolve il compito di mantenere in equilibrio il sistema d'appartenenza, assumendo su di sé le istanze più aggressive e problematiche che i membri del gruppo non possono accettare come parti di sé.
In questo modo la vitalità e l'arroganza, che inizialmente appartenevano alle stesse persone, si definiscono sempre più come tratti diversi che caratterizzano persone e ruoli sociali diversi.