Il cigno e Sisifo |
Granit Gjermeni |
10-11-2011 |
Si dice che Dio abbia creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma sembra che questo all’uomo non basti. Da sempre, infatti, lui sogna e desidera l’immortalità, l’onnipotenza. “Sisifo il Re”, l’uomo che incatenò la morte, il limite supremo, voleva diventare immortale e mettersi al pari degli Dei, credeva che fossero i limiti a impedirgli di crescere e di realizzare i suoi sogni.
Quante illusioni! Illusioni che riportano al mio passato, quando i limiti erano solo un ostacolo da superare per raggiungere il risultato che mi appagava di più: poter cambiare le cose a mio piacimento senza dover rendere conto a nessuno. Illusioni che mi ricordano un nome strano di una malattia invisibile, “il virus delle gioie corte”. Sono queste le parole con le quali cerchiamo di rappresentare le cause che ci portano a trasgredire le regole, a commettere dei reati pur di soddisfare i nostri desideri in modo immediato e non attraverso il lavoro, la costruzione, un progetto di crescita. Usiamo la parola “virus” perché, come un virus, questa voglia entra in un organismo e si espande portandolo lentamente al degrado. In questo modo anche l’abituarsi a soddisfare i propri desideri in modo immediato diventa una malattia, che porta a consumare illusioni e rende incapaci di gestire o procurarsi i mezzi per progettare seriamente il futuro.
Ma ora torno al nostro “cigno” o meglio al nostro attore, per raccontarvi solo brevemente di quando io ero alla ricerca di un ruolo da protagonista. Veramente, è da quando ho memoria che cerco il mio ruolo; l’ho cercato in mille modi, in mille posti e con persone diverse, ma per altrettanti motivi continuo ancora oggi a cercarlo. Devo trovare oggi anche il modo per evitare che la storia si ripeta, perché per tanto tempo mi sono sentito come quell’attore senza un ruolo, disoccupato, spesso senza speranze, senza un palcoscenico, senza un posto dove esprimermi per mettere in mostra il mio talento o le mie capacità. Per tanto tempo ho cercato l’opportunità di dire al mondo “Eccomi qui, guardatemi, Ci sono anch’io”. Opportunità, però, che sapevo di non poter avere e alla prima occasione decisi di prendermela da solo; “Chi se ne frega, come va, va!”
Con prepotenza salii sul palco, consapevole di non poter essere lì e volevo convincere la gente che quello lassù era il mio posto. Ma come? Ecco, indossai una maschera, mi vestii di bianco e sedetti sul trono fatto su misura, presi lo scettro e diedi al pubblico un assaggio del mio “potere” ed ecco fatto; ecco il mago, ecco l’illusionista che con una mano distrae e con l’altra ti “fotte”. Comunque missione riuscita, ho avuto il mio ruolo, la mia occasione, ora sono io il protagonista e questo è il mio posto. Non posso tornare indietro, e poi perché? Per tornare a essere il “Signor nessuno”? No grazie!
Credevo di poter gestire quella situazione, ero convinto che se avessi giocato bene le mie carte molto presto la gente non mi avrebbe visto più come l’illusionista, ma come l’attore che si è guadagnato la sua parte e che merita di restare su quel palco. Alla fine era solo quello che volevo; ma era tutto una menzogna, ed io continuavo a illudere me stesso. Come puoi gestire un potere che non hai? Ma quando ci si rende conto, di solito è tardi, perché non si è più in grado di riconoscere se sei l’illusionista o l’attore, l’uomo o il burattino. Se sei fortunato, forse capisci che ti sei fottuto da solo e che i desideri e l’incapacità di mettere a frutto le tue potenzialità hanno portato alla rovina il tuo essere.
Spinto dai ricordi, mi è venuta voglia di raccontarvi questo episodio del mio passato. Un giorno ero uscito con una ragazza, lei credeva che io fossi un bravo ragazzo, perciò ogni volta che volevo fare qualcosa di storto mi allontanavo in macchina o in bagno. Fino a quando lei lo ha capito e ha chiesto di unirsi a me. Quella volta passammo la serata in giro nei locali, bevendo tantissimo e sniffando cocaina. La mattina siamo andati a casa mia, ho chiuso le tapparelle perché la luce del giorno mi feriva gli occhi e abbiamo continuato indisturbati. Sapevo che ormai stavo esagerando però non riuscivo a fermarmi e nemmeno lei scherzava. Mi ricordo bene, era quasi mezzogiorno, io la guardavo e mi chiedevo come faceva lei a pipare uguale a me?
Mi sembrava strano e vedevo che era un po’ agitata ma lei continuava a parlare a parlare e io non riuscivo a seguirla, non l’ascoltavo, i miei pensieri, la mia mente viaggiavano in totale libertà. A un certo punto lei cominciò a tremare, si era sdraiata sul letto e dalla bocca le usciva della schiuma bianca o bava, non lo so. Subito pensai a un’overdose, mi avvicinai e la scossi forte per farla riprendere, ma niente, continuava a tremare finché gli occhi le sono diventati bianchi. Lei si fermò, mi resi conto che non respirava più, presi in mano il telefono ma in quel momento sono andato in tilt, non riuscivo a ricordare il numero dell’ambulanza, come chiamare un pronto soccorso. Niente, non sapevo che fare e chi chiamare, mi ero bloccato completamente.
Dovevo fare qualcosa subito e cercai di non perdere la calma; le diedi qualche schiaffo per farla reagire, ma niente. Allora cercai di farle un massaggio cardiaco, lo avevo visto fare in televisione, e anche la respirazione bocca a bocca. Le chiusi il naso e le soffiai forte in bocca, sentii i suoi polmoni riempirsi d’aria, poi l’aria uscì ma lei non respirava ancora, allora raccolsi tutte le mie forze, feci il respiro più grande della mia vita e pregai Dio di aiutarmi a salvarle la vita. Gli ho promesso che avrei fatto qualsiasi cosa se mi avesse aiutato e tirato fuori da quella situazione, e così le soffiai un’altra volta con tutta la forza della mia anima. I polmoni le si riempirono ancora d’aria e quando l’aria uscì, insieme uscì anche quella schiuma bianca. All’improvviso, spaventata, lei cominciò a respirare, credo che si era affogata con la sua bava. Quando si riprese mi spiegò che era epilettica e che non prendeva le sue medicine da una settimana. Non volle nemmeno andare in ospedale, voleva solo riposare un po’.
Quando lei non respirava più avevo pensato alla sua famiglia, conoscevo i suoi genitori. Chissà quante volte avevo accompagnato il suo fratellino in piscina! Cosa avrebbero pensato? Come mi avrebbero giudicato? Poi come un flash mi sono passati davanti agli occhi i titoli dei giornali, quel giorno presi lo spavento più grande della mia vita e ho capito che qualcuno aveva voluto darmi un’altra opportunità, un’altra occasione. Ne avrei saputo fare buon uso? A mezzanotte la accompagnai a casa; che sollievo, tutto era finito, che giornata, sentivo ancora addosso lo spavento, dovevo calmarmi, bermi una birra e sfogarmi, parlare con qualcuno; ma con chi?
Allora via al solito bar, con la solita compagnia. Dopo qualche giro di birre ecco che spunta la solita bustina con la sua magia, “una mano distrae e l’altra ti fotte”. In quel momento avevo mille motivi e tutte le ragioni del mondo per smettere e finirla di prendere in giro me stesso.
Era quella la mia occasione, era quello il momento in cui dovevo riconoscere i limiti e lasciar morire il cigno che mi teneva in scena. Lo avevo promesso pure a Dio!. E invece no! E’ stato proprio li, dopo quella ennesima striscia di coca, che ho visto il mio cigno guardarmi e sogghignare, mentre dicevo a me stesso: "se non mi fermo ora, nemmeno Dio mi potrà salvare".