La capanna, il labirinto e la nostalgia |
Eugenio Pipicelli |
07-01-2012 |
Alla capanna non ci andavo più da tempo, la pista battuta era scomparsa, l’erba aveva ripreso a crescere e di quel serpeggiare nei prati più nulla. Ma non ne avevo più bisogno, anche da lontano sapevo il punto esatto in cui stava la capanna. Conoscevo i pioppi e le loro forme: in fondo, gli ultimi tre, trattenuti in un dolce abbraccio dai tentacoli dei rovi e da migliaia di spine, come a solleticarli.
Arrivai ed era là, nascosta a tutti, avvolta nel silenzio. La pista era quasi del tutto scomparsa, solo un occhio attento che ne conoscesse l’esistenza poteva scorgerla, i rovi avevano ripreso tutto il loro spazio, risanato le ferite e richiuso i nostri tunnel, quasi come a proteggerla. Per assicurarsi che nessuno la vedesse c’erano a guardia decine di ragni enormi gialli con strisce nere e, sul dorso, come a segnalare un pericolo di morte, una croce ben visibile.
Prima un fruscio, forse un topo o un riccio, poi tanti piccoli rumori; la capanna brulicava di vita. Nel fiumiciattolo intravedevo alcune gallinelle d’acqua, ora un fringuello che si è posato sul ponticello da noi costruito, una cinciallegra s'infila in un buco di un tronco a mezzo metro da terra, un leggero brusio: è il cinguettio di 8 o 10 piccoli. Piccole creature dedite all'impegno di vivere.
Riaffiora il ricordo delle voci:
“Franco, smettila di rompere le palle con quel martello. Cosimo! Cosimooo! Dov’è Cosimo?”
“Boh! Vuoi vedere che quel pirla è andato a guardare i piccoli di merlo?”
“Pugnetta (Cosimo) dove seiii?”
Da non molto lontano: “Sono all’imbosco a prendere le sigarette.”
“Rimbambito, non dovevi accendere il fuoco?”
Giancarlo mi chiede: “Cosa facciamo oggi?”
E io: “Andiamo alla ferrovia, al casello abbandonato, vediamo se c’è qualcosa che ci può servire”.
Cosimo spunta da dietro alcuni cespugli, come un ottentotto dalla giungla: “Nooo! Dai andiamo a Gaggiano alla cascina, rubiamo un po’ di fichi, cetrioli, pomodori e poi ce ne andiamo a fare il bagno alla buca di Trezzano”.
Siamo tutti d’accordo con Cosimo. Giancarlo, da buon capo: “Nascondiamo tutti i ferri, che se vengono quei bastardi della banda Botta ci fregano tutto”.
Le voci, come sono venute, così svaniscono, è come essersi svegliati da un sogno. Decido di andarmene. Ora ci sono le ragazze e le cantine per andarci a flirtare e fuori il motorino rubato. Ora rubiamo motorini e le domeniche svuotiamo le fabbriche, prendiamo i fondi cassa e cose da poter vendere.
A casa torno tardissimo, più sto fuori e meglio sto. Le persone del quartiere, quando passiamo, ci gridano “Delinquenti, finirete al Beccaria! Disgraziati, via, via co 'sti motorini! Ladri, finirete in carcere!”
Ecco il mio pubblico! Mi detesta. E' brava gente che lavora e prima di andare al lavoro accompagna i figli a scuola. Per me possono anche andare a farsi fottere, io continuo a fare quello che mi pare. Non do retta a mio padre e a mia madre, figurati se mi frega di quello che dicono gli estranei.
Un giorno Giancarlo arriva con un sacco di soldi. Andiamo tutti alle Varesine e poi alla Standa, compriamo un mucchio di cose, pantaloni, scarpe, magliette, dischi. Fa un bell’effetto passare dalla cassa a pagare, sembra che tutti guardino te e i tuoi soldi.
Torniamo in quartiere, Giancarlo ci racconta tutto della rapina (Carmine insieme a un altro si era portato, insieme agli altri un po’ più grandi, anche Giancarlo, 15 anni). Mentre Giancarlo ci stava raccontando della rapina arriva Carmine e dice: “Giancà, andiamo in centro a farci fare dei massaggi, vedrai che fighe! Ti fanno certe robe. Dai, andiamo! Vieni anche tu Eugenio?”
Giancarlo ormai lo vedo raramente e da qualche tempo sono spariti anche Cosimo e Franco, frequentano anche loro Carmine.
Carmine una sera mi dice “Domani andiamo a fare una rapina, ci sono molti soldi ma c’è anche molta gente. Siamo in cinque, ci serve il sesto”.
Ho in mano una 38 a canna corta, ho il cuore in gola, sento le pulsazioni del sangue sul calcio della pistola.
“Ti va bene questa?” Domanda Carmine. “Sennò scegline un’altra” . “Ne voglio un’altra!” Credo di averlo detto solo per poterla posare, ma come la metto giù Carmine apre il borsone e prende una 44 e dice: “Hai ragione! Guarda quanto è grosso, questa è la pistola per lui!”
Quel pomeriggio entrai insieme agli altri. Quando fui dentro sentivo come se l’arma non l’avessi, avevo come la sensazione che non spaventasse nessuno (solo oggi ho la vera percezione del perché: mi sarei fatto ammazzare ma quel grilletto non l’avrei premuto) cominciai a gridare: “Tutti a terra! Tutti a terra! Vi ammazzo! Dove sono i soldi!”
Erano in circa in 30 lì dentro, tutti sdraiati, faccia al pavimento. Io continuavo a gridare, non fiatava nessuno, anche i miei compagni non spiccicavano una sillaba. “Dove cazzo sono i soldi!”
Uno si alza piano, mi dice: “Stai calmo, te li diamo, stai calmo. Ce li ho in ufficio” e con il dito me lo indica. “Dai sbrigati! Andiamo di là!”
Apre un armadietto: dentro c’è la cassaforte, la apre e si fa di lato. Comincio a mettere i soldi alla rinfusa in un sacchetto. Torno di là con lui. Tutto fermo, immobile come prima, anche i miei compagni sembrano inebetiti, gli passo il sacchetto dei soldi. Al Tizio che mi ha aperto la cassaforte intimo ancora in tono perentorio: “Togliti la giacca!” Se la leva, la spiana sul pavimento. “Tutti i vostri portafogli, collane, orologi qui! Sulla giacca! Sbrigatevi!”
In pochi minuti la giacca è ricolma e, tanta roba, chiudo la giacca a mo' di fagotto. Mi giro per dire agli altri di andarcene ma non c’è nessuno. Esco e le due auto sono lì che aspettano. Dico: “Cosa cazzo fate? Mi lasciate dentro solo?"
Carmine: “Cosa cazzo fai tu? E’ cinque minuti che ti aspettiamo!”
“Ho preso i portafogli, le collane e gli orologi” e gli mostro il fagotto.
L’altra auto dietro suona: “Allora che minchia facciamo? Ce ne andiamo?!”
Nel sacchetto 23 milioni e rotti. Con gli orologi e portafogli altri 20. 43 milioni diviso 6, 7 milioni a testa.
Ormai è semplice fare le rapine. Non sono più con Carmine. Vengo pagato per custodire le armi, scarrellarle, ingrassarle, svuotare i caricatori e i tamburi, pulire i proiettili uno per uno e ricaricare stando attento a togliere le impronte di altri e soprattutto le mie. In più le uso a mio comodo, avvisando chi di dovere. Guadagnavo bene. Fino a quando in una gioielleria, insieme ad altri clienti, c’è una ragazzina di 13 o 14 anni. E’ spaventata, troppo spaventata, trema e piange: cerco di tranquillizzarla, le dico che non le facciamo niente, ma lei continua a piangere e non riesce nemmeno a guardarci tanta è la paura, non riesco a farla smettere, le faccio una carezza, "smettila, fra un po’ ce ne andiamo", ma lei piange.
“Basta! Abbiamo preso abbastanza, andiamocene!” E battiamo in ritirata.
“Eugenio, non dovevamo prendere i gioielli da riparare e quelli già riparati e svuotare le vetrine?”. E io: “Cazzo, è passata una pattuglia, mi sono insospettito … e poi abbiamo svuotato la cassaforte e il resto del negozio, non è abbastanza?”
Ho riportato le armi ai proprietari. Basta, niente più rapine. Dovevo fare 15 anni, mi sono fatto il libretto di lavoro. Ho trovato un posto come lattoniere metallico: casse stagne di profondità, armadietti per ufficio e altro. Ma duro pochi mesi: il virus dell’adrenalina e dei soldi facili mi ha preso, coinvolto, ne sento il bisogno, è come respirare.
Non faccio più le rapine, ma frequento le stesse persone fino a che … ma questa è un’altra storia, che mi ferisce nel profondo. La racconterò perché se a qualcun altro venisse in mente di fare una cosa del genere, si persuada a non farla.
Nell’82 vengo arrestato per furto. Ho la fidanzata incinta di 4 mesi. Lei non ha neanche compiuto 17 anni. Quella volta il pubblico che tirava pomodori, fischiava e contestava erano in primis i miei genitori e la mia fidanzata. E c’era anche l’altro pubblico: i giudici, la corte e il p.m. La condanna è arrivata. Me ne ero fottuto delle leggi, delle regole, della Costituzione. Non mi ero attenuto al copione di una vita nel rispetto di queste cose fondamentali, che poi è anche il rispetto per gli altri.
Cazzo! Ma io un copione l’ho mai avuto?
Ho cercato per un po’ di tempo di tenermi fuori dai guai e per qualche anno ci sono riuscito, ma poi ho ripreso a rubare. Non volevo la morte del cigno, nel senso che era chiaro che non facevo le cose giuste, ma non volevo smettere (di ballare), pur sapendo che mi avrebbe portato un sacco di guai. Oggi sono “recidivo, recidivo, recidivo”, recidivo infraquinquennale aggravato: due terzi di pena in più.
Io in questo scritto mi ci sono cimentato e ho cominciato da lontano e con il mio solito modo di dire le cose, con un po’ di poesia, non per rendere meno grave l’evidenza, ma perché ho la necessità di far sapere che volevo essere qualcos’altro. Vivo una nostalgia strana, ma quello che mi stupisce è che non so neanche esattamente come volevo essere.
Certo che con questa storia della morte del cigno, mi sembra di essermi infilato in un labirinto inestricabile. Il pensiero più semplice?
Ma che diavolo dovevo cercare? E' palese che il ballerino è uno scellerato, un pazzo idiota. Come? Ha studiato una vita e poi è passione? Un bravo ballerino che aspettava (credo) un’occasione, così come un assetato cerca l’acqua… cosa fa quando gli viene data l’acqua, la butta via?
E poi lo ripete ancora in Romeo e Giulietta: questo è scemo, non c’è nulla da scrivere. Ma sì! Questa è la morte del cigno in chiave comica, c’è solo da ridere.
Nel tentativo di uscire da questo labirinto in cui mi sono andato a cacciare (per colpa di Aparo) in un’intersezione vedo un brutto anatroccolo: come finisce la fiaba lo sappiamo tutti.