Ai bulli di Bollate

Rita Oliverio

13-02-2010  

Faccio questo “mestiere” già da tempo (sono insegnante in un Istituto Tecnico) e ancora, con una ritualità di cui non so fare a meno, preparo con cura le lezioni, sperando ogni volta di far emergere un aspetto nuovo del tema o del personaggio da presentare. Mi piace cercare documenti e citazioni da offrire nella speranza di trasmettere ai miei ragazzi qualcosa in più; mi piace l’idea di “stuzzicare” il loro interesse…

Inizia la lezione e questa volta si parla di Leopardi, il vecchio, caro, tormentato Leopardi. Leggo con enfasi alcuni versi, parlo di infelicità, di natura, di senso di vuoto, morte… tiro fuori dalla mia borsa tutto quello che ho meticolosamente raccolto e per un po’ m’illudo che mi stiano seguendo… poi il primo sbadiglio… le occhiate furtive al cellulare nascosto nella manica e qualcuno che alza la mano.

Chissà -mi dico- forse ora c’è la domanda giusta…  “Prof, pensa che, se ai tempi di Leopardi ci fosse stato il Prozac, avremmo potuto risparmiarci tutte le sue paranoie…”

Rido alla battuta, in fondo non si può negare che sia divertente, ma mi sento sprofondare…

Con la disinvoltura maturata nel tempo, ripongo il caro Leopardi nel cassetto, mi do un po’ di contegno e, sforzandomi di camuffare la mia frustrazione, passo ad altro. Sono un’insegnante di letteratura italiana e storia (me lo ripeto per non dimenticarlo!)..

Poi  incontro i Bulli di Bollate e dai loro racconti di vita emerge un grave senso di rancore verso la scuola che non li ha aiutati, ascoltati, che non ha dato loro l’occasione giusta per crescere… mi sono sentita peggio che riconoscere Leopardi depresso..

Cerco di ripercorrere a ritroso il mio lungo cammino nella scuola nell’intento assurdo di assicurarmi di non avere sbattuto in faccia la porta a qualcuno… ma  penso che sia solo un patetico modo per sentirmi con la coscienza a posto.

Cosa posso dire ai "Bulli di Bollate"? Fare l’insegnante non è certo facile, oggi più che mai. Tutto viaggia ad una velocità sorprendente, mentre la scuola perde sempre più terreno e si scontra con una realtà in cui la crisi dei valori ormai è un dato di fatto:  a complicare il tutto spesso l’assenza della famiglia che ci “consegna” i ragazzi come “pacchi postali”.

Ogni giorno con gli scarsi mezzi a disposizione (e con tanto volontariato) cerchiamo di rispondere alle mille domande, ai mille bisogni; mentre qualcuno dall’alto ci dice che siamo dei “fannulloni” che alimentiamo l’ignoranza, che non siamo al passo coi tempi.

Tra una lezione e l’altra ci sforziamo di far capire agli alunni l’importanza della cultura come veicolo di libertà, del dialogo, del sapersi mettere in gioco, dello scoprire e valorizzare le proprie qualità, ma può capitare che qualcuno non voglia ascoltare e magari è proprio quello che ne ha più bisogno perché è più solo degli altri. E’ così che, a volte, cominciano le brutte storie!

Ma io continuo a credere nella scuola e sono stati proprio i Bulli di Bollate, con le loro accorate parole, a ricordarmi quanto sia importante il mio lavoro.