Verbale incontro sull'autorità
21-12-2005
UNIVERSITA' STATALE MILANO

Redazione

21-12-2005  

Mariella Tirelli
La Legge è nata come autorevole.

Nel corso svolto quest’anno, facendo riferimento al sistema penitenziario reale e non virtuale, ho cercato di argomentare su come esso debba continuare ad essere autorevole; specialmente nei ruoli che operano per il reinserimento del detenuto. Si chiede autorevolezza a chi studia e diventerà operatore della Legge a qualunque livello.

 

Angelo Aparo
Ci vuole un sacco di energia al Ministero per far uscire un detenuto come Enzo Martino e permettergli di collaborare qui oggi con Gabriele Rossi (ex detenuto), Nicola Di Vaira (ex studente di giurisprudenza) e la dott.ssa Maria Sodano (giudice civile). Serve la responsabilità del suo magistrato di sorveglianza che firma il permesso e occorre la presenza (pagata) di 4 agenti che lo accompagnino. Ma tutto questo impegno non serve a nulla se il detenuto rimane delinquente!

Oltre all’energia spesa per controllare i detenuti, occorrono le condizioni e gli strumenti per cui i detenuti possano sentire che fare i delinquenti è un disvalore.

Occorre investire energie, persone e soldi affinché - attraverso il lavoro, la scuola, i rapporti con la famiglia e i rapporti con tutta la società – chi ha commesso reati possa maturare gradualmente una nuova identità di fronte a se stesso e alla collettività.

Cosa ce ne facciamo dell’autorità se non ci serve a crescere?

 

Enzo Martino
Viene facile parlare dell’autorità in carcere (perché ogni giorno hai davanti le figure che hanno questo ruolo); sono arrivato a capire però che è inutile prendersela con loro (i miei giudici a latere…). Per uscirne bisogna lavorare su di sé, in qualche modo. Io mi sono messo a studiare con la scuola e con il gruppo. Anche perché i miei figli crescono, e non voglio che crescano con l’immagine dei giudici come cattivi perché hanno messo in carcere il loro papà.

Un ex direttore di San Vittore, Pagano, mi ha aiutato nello sviluppare il mio rapporto con l’autorità, di cui prima avevo una concezione come schiacciante, autoritaria. All’inizio credevo che mi prendeva per fesso.. tanto mi era estranea. Poi col tempo quell’immagine è entrata come mio ideale dell’autorità e soprattutto dell’autorevolezza.

 

Maria Sodano
Per i detenuti l’autorità non è il magistrato di sorveglianza ma chi li controlla, chi è presente giornalmente: il personale carcerario (agenti, educatori, direzione).

Gli educatori, in questo microcosmo chiuso che è il carcere, dovrebbero essere la parte autorevole. Il problema è che a San Vittore sono stati assunti 4 operatori e 1060 agenti di polizia penitenziaria. Occorre far sì che anche gli agenti partecipino alla funzione “rieducativa” della pena.

Ogni figura di giudice ha solo scopi specifici; il giudice di tribunale ha una funzione giurisdizionale e non di entrare nel merito della persona; essa deve giudicare (come un giudice tecnico) in relazione a ciò che la persona ha fatto; deve essere terzo e non sapere nulla del prima né del dopo dell’imputato. Questo impedisce (ed è giusto che sia così) di entrare in relazione diretta con la persona da giudicare.

Il magistrato di sorveglianza invece va oltre il termine del processo, che deve essere necessariamente oggettivo. E’ un giudice che deve stabilire se la pena si sta materialmente concretizzando; è il giudice degli operatori e della direzione del carcere.

 

Gabriele Rossi
Quando ci siamo chiesti al gruppo come ognuno si rappresenta l’autorità, io mi sono immaginato un quadro che è proprio qua in quest’aula: questa tela bianca.

Una cornice e dentro il bianco; solo raffigurati pennelli e colori, ancora da usare.

Non c’è una mia figura dell’autorità. Riesco solo a vederne la lacuna, la mancanza: un’autorità ancora tutta da disegnare. Al gruppo stiamo cercando di dare una forma a quell’immagine lavorando in questo scambio anche con professori e giudici.

 

Giampietro Borasio
La custodia è la funzione che la società vuole abbia il carcere; i comuni cittadini, purtroppo, vogliono solo che in carcere i detenuti ci stiano il più possibile, e che il carcere sia il più lontano possibile da noi. Ma alla società spetta di occuparsi appunto della funzione rieducativa della pena: altrimenti il carcere diventa e resta un ambiente peggiorante. Va migliorata la società nel suo rapporto con il carcere.

 

Marta Sala
Anch’io ho visto nella figura di Pagano un modello cui fare riferimento nel rapportarmi poi con le varie autorità della mia vita.

Per fare evolvere un rapporto con l’autorità servono due spinte:

Riesco oggi a fare questo discorso anche grazie a 4 anni di gruppo – è un discorso costruito anche da Enzo, Armando ecc..

 

Nicola di Vaira
La tela bianca.. beh in effetti l’autorità dobbiamo costruirla noi giorno per giorno. Siamo noi che dobbiamo creare la nostra autorità… e fare i conti con il fatto che tante volte siamo noi stessi a volerla autoritaria. Non è opportuno che la nostra immagine dell’autorità venga formulata solo partendo dal carcere. Carcere e società non sono cose diverse, non possono prescindere l’una dall’altra, non possono funzionare come sistemi diversi; altrimenti si corre il rischio di un corto circuito di rabbia, richiesta di intervento, inefficacia e si ricomincia.

 

Marcello Lombardi
Se uno ha una brutta immagine dell’autorità (non riuscire a entrarci in rapporto perché sembra soffocare) necessariamente la sfida.

 

Pietro
Ho imparato da questo corso che la direzione non può essere se non quella di interiorizzare l’autorità e farla diventare autorevolezza. Quotidianamente abbiamo a che fare con autorità più o meno forti e bisogna conviverci e non sentirsene schiacciati.

 

Angelo Aparo
L’autorevolezza ti sostiene, ti guida e ti invita a dare il meglio di te.

Perché l’autorità possa essere esercitata in termini credibili e autorevoli occorre che gli obiettivi siano integrati e coerenti con quelli delle altre autorità coinvolte. Esattamente, come prevede la Legge. Chi rappresenta l’autorità può anche sbagliare, ma deve far sentire che c’è e che ci vuole essere. L’autorità, per essere emotivamente fruibile, non può essere esercitata sulle carte o in maniera astratta.

 

Giampietro Borasio
Un giudice, Levatino, ha detto una volta: “un giorno qualcuno ci chiederà non se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili”.

 

Mariella Tirelli
Nessun potere è autoproclamato ma viene affidato.

Non esiste magistrato che possa considerarsi gestore di un potere. Egli agisce e deve agire come una funzione che gli viene conferita, e lo fa in nome di altri.

Devono risponderne e non possono viverla come gestione di potere: ma come funzione.

Questa è una linea guida che gli toglie la scelta. Un giudice, più che una Autorità, è un rappresentante delle istituzioni e deve muoversi sempre entro certi limiti.

 

Cinzia Faenza
L’obbedienza è ben diversa dal rispetto – questo lo sanno bene tutti i corpi di polizia.

E se questi due concetti interagiscono l’uno dall’altro tenderanno a esercitare una autorità più credibile.

 

Gabriele Rossi
Chi sul tram ha timbrato il biglietto vede il controllore in un modo diverso da chi non l’ha timbrato. La figura d’autorità è diversa anche a seconda di chi le guarda.

 

Maria Sodano
Ora che faccio il giudice civile osservo che le persone che vogliono litigare vogliono un’autorità che gli dica “non è così”.