La mia esperienza con l'autorità |
Alessandra Cesario | 10-12-2005 |
Sono cresciuta avendo di fronte due tipi di autorità: quella incarnata da mio padre e quella incarnata da mia madre. La prima è sempre stata un’autorità permissiva, che concedeva tutto. Quasi nessun divieto. L’autorità incarnata da mia madre invece, era di tutt’altro tipo. Lei era quella che imponeva i divieti, le regole, la severità. In un modo o nell’altro, sapevo che se volevo aggirare i divieti che mi venivano imposti da mia madre, bastava convincere mio padre. Sapevo bene come fare per ottenere ciò che volevo.
Forse è per questo che non avevo un buon rapporto con le regole. Poi a 17 anni ho conosciuto un altro tipo di autorità, che veniva dall’esterno. Un’autorità capace di cambiare la vita delle persone: l’autorità giudiziaria. Non è stato un bell’incontro. Mi sono sentita schiacciare da qualcosa che non potevo gestire, convincere. Non avevo nessuna voce in capitolo per intervenire. Potevo solo subire. La conseguenza è stata il rancore verso qualsiasi forma di autorità giuridica. In tutta quella vicenda avevo capito una cosa: senza un’adeguata difesa sei morto.
Mi sono iscritta alla facoltà di legge perché mossa da un sentimento di vendetta. Volevo farla pagare a tutti quelli che mi avevano fatto del male applicando la legge, a parer mio, in modo arbitrario e scriteriato.
Ci sono voluti anni per elaborare quel rancore e quel sentimento di vendetta. Anni in cui ho capito che la legge, se applicata in modo ragionevole, può essere uno strumento di libertà e non di oppressione. Anni in cui ho capito che l’autorità incarnata da mia madre e le regole che m’insegnava erano la direzione in cui guardare se volevo crescere.