In cerca dell'autorità |
Mariella Tirelli | 02-12-2005 |
Un padre che quando dici che è colpa del tuo compagno di gioco, ti chiede cosa hai fatto tu; che ti insegna a dire grazie, scusa, buon giorno, per aiutarti a rispettare e riconoscere chi ti sta intorno; che t’insegna a ridere; che non finge di non vedere che qualcosa non va, ma non si limita a punirti, se qualcosa non va; che quando tu gli dici che l’insegnante ce l’ha con te ti risponde che ci sarà una ragione e non si mette fra te e lui; che quando hai paura di fare una cosa ti risponde che ce la farai, lui lo sa; che quando sei a un bivio ti indica la strada più sicura, ma ti dice anche “vedi tu”; che è consapevole delle tue capacità e si impegna, e ti impegna, perché tu possa valorizzarle, e lo fa per te; che non ti compra l’automobile per perdonarti o farsi perdonare qualcosa; che rispetta quello che fai anche se è diverso da quello che si era prefigurato; che condivide i tuoi successi e al quale puoi raccontare le tue sconfitte; che non rivendica il ruolo di amico perché gli amici li incontrerai altrove, ma “soltanto” quello di padre, un padre che sogna i tuoi sogni, anche se sono diversi dai suoi.
Questo credo sia un padre autorevole.
Un insegnante che non vuole essere accattivante, che è consapevole dei pericoli che il suo ruolo sottintende, che sa come sia facile catturare l’attenzione di un ragazzo, modellarne le convinzioni, usarlo come sostegno alle sue insicurezze ed al suo narcisismo.
Un insegnante che non crede di essere un maestro o un missionario, ma soltanto una persona impegnata a dare un senso alla materia che insegna, trasformandola in uno stimolo alla riflessione; che è preparato e non improvvisa; che sa governare le proprie sensazioni; che non chiede consenso o affetto, ma è disponibile; che si ascolta soltanto per valutare se è in grado di farsi comprendere; che parla agli studenti e non a se stesso; che crede nella vita che è in loro e ne porta il peso; che risponde alle loro domande guardandoli in faccia; che li ama senza amarne nessuno; che impara a riconoscerli, a coglierne le difficoltà, lo smarrimento; che ne rispetta l’individualità e non offre certezze, ma stimola riflessioni; che non si sottrae allo sguardo di chi chiede aiuto e si impegna a rispondere; che il giorno in cui qualcuno si affida a lui e gli consegna qualcosa di sé non è tentato dalla vanità, ma prega di saperne fare buon uso.
Questo credo sia un insegnante autorevole.
Un uomo è riuscito a trasmettere alla sua gente l’orgoglio e la determinazione a sottrarsi alla schiavitù e a ritornare nella terra dei padri. L’ha guidata fra i pericoli, sostenuta nella fatica e nel dolore, spronata ad andare avanti anche quando la meta sembrava allontanarsi.
Quell’uomo sentiva che a lui non sarebbe stato dato di toccare la terra dei padri, che avrebbe potuto vederla soltanto da lontano e indicarla per l’ultima volta a chi non si sarebbe giovato della sua sapienza e del suo amore per ritrovare la propria identità, per non essere più gente, ma popolo. Egli conosceva le imperfezioni degli uomini, le loro debolezze, le aveva vissute una ad una, le aveva lette negli occhi di tutti, ma sapeva anche di non poter dettare regole o comandi, ancora doveva essere designato chi avrebbe dovuto farli rispettare. Poteva soltanto affidare ogni uomo, quale che fosse il suo ruolo, alla sua umanità e alla sua possibilità di scelta.
E allora ricordò agli uomini quello che gli uomini sanno anche quando dimenticano. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te e ai tuoi figli: non uccidere; non maledire la vita e rispetta chi te l’ha data; non chiamare il soprannaturale a testimone dei tuoi atti; rispetta ciò in cui crede chi ti sta intorno; riconosci la tua appartenenza e rispettane i riti; non rubare; non desiderare le cose e gli affetti degli altri; non dire il falso, c'è spesso in gioco la vita o il futuro di qualcuno.
Questa è la legge che vigila sulla nostra dignità, questa è la legge che dovrebbe guidare chi fa le leggi e chi è chiamato ad applicarle.