Gli scout sul tema dell'autorità

Dai minigruppi

12-03-2006  

Microgruppi Scout - domenica 13-3-06 pomeriggio

Scout del 4° anno, con Dino Duchini e Giovanni Mentasti

L’autorità deve essere comprensiva e capace; il suo campo è quello educativo. Ha, sicuramente deve avere (e saper avere) una grossa responsabilità. Non solo in teoria, deve averne la capacità.

Mi viene in mente un capo con un ruolo preciso, determinato e riconoscibile. Non si deve mischiare con i membri del suo clan o gruppo, non deve trattarli e comportarsi alla pari perché perde in autorevolezza.

Dalla mia esperienza scout: il capo che ricordo come il più in gamba era provocatorio e stimolava tante domande; ovviamente dopo favoriva le risposte o la strada per trovarle.

L’autorità deve stabilire le regole (es. la carta del clan); dev’essere direttiva e farle rispettare; le regole seguono (e indicano nel loro insieme) dei valori di fondo.

L’autorità deve essere prima di tutto di esempio: un modello da seguire.

“Una autorità” è un po’ troppo generico e astratto. Mi viene più facile pensare che l’autorità deve trovarsi prima di tutto in se stessi. La prima autorità è se stessi – la propria coscienza. La devi riconoscere, riconoscerla in te.

Per me esistono in tutte le persone valori diversi, ma con determinanti comuni. Le diverse coscienze hanno delle radici comuni, come ad esempio il rispetto per l’altra persona (al di là delle mentalità diverse) [più di uno ribadisce il rispetto].

Dal rispetto per l’altra persona si costruisce e rafforza il rispetto per se stessi; rispecchiarsi nell’altro e, più in grande, nella società e nei valori condivisi.

 

 

L’autorità è una persona che insegna.

Deve fare il loro bene, il bene di quelli per cui ha un ruolo, un’autorità. Per questo può anche sgridare o ‘bastonare’: ricordo un capo-clan particolarmente severo; sul momento non ne ero felice ma ora (dopo 4 anni!) riconosco quanto è stato utile che si comportasse così. Non deve essere per forza simpatico!

Se si cerca prima di tutto la simpatia, il favore degli altri, si corre il rischio di diventare accondiscendenti e si perde la funzione d’autorità.

E’ più difficile riconoscere una autorità nel gruppo alla pari o con quelli della stessa età.

Ognuno è il risultato di un intrecciarsi, di un miscuglio, per cui siamo (anche) il risultato del nostro ambiente, di tutte le relazioni, di tutti i valori che ci compongono.

Quando una autorità agisce con fiducia in te, lasciandoti fiducia, è il momento in cui ti muovi di più, fai di più; Non si fa sentire come un controllo; non ti sta appresso. Ti lascia e favorisce autonomia.

Credo che ci possano essere rapporti difficili con l’autorità. Ad esempio, c’è una certa età in cui un bambino o un ragazzo non vuole “una mamma che te lo dice”, che ti dica cosa fare e non, che ti dica cosa si può fare o no. Anzi capita di voler fare apposta il contrario! Per ribellione. Ad un certo punto vuoi essere autorevole con te stesso e non permetti ad altri di dirti ogni cosa da fare o da non fare.

L’autorità deve darti una indicazione e poi lasciarti fare. Una prima fase deve essere di approfondimento (indicazione) e poi deve entrare in sé; la seconda fase è assolutamente il mettersi in gioco autonomamente. Queste due fasi ovviamente non sono nettamente separate né mai concluse… fanno casino, si sovrappongono e mischiano fra loro.

 

 

Come persona singola, non sono tenuto ad essere convinto di ogni singola regola dello Stato; ma nel complesso sì. La Costituzione, i valori più grandi condivisi; mettere le radici nell’istituzione, in qualcosa di più grande, il senso civico; da condividere. Ad es. la non-violenza.

Il rispetto per l’autorità è legato al (e nasce dal) senso di appartenenza fra le persone. Nel comune riconoscersi e convivere. La condivisione dei valori che fondano le radici dell’autorità garantisce la convivenza.