La mia esperienza con l'autorità

Filippo Di Giovine

10-12-2005  

Sono passati più di dodici anni dal mio ingresso in  carcere.

Ricordo l’ambiente nel quale sono cresciuto e i valori, giusti o sbagliati, che mi sono stati  trasmessi. Ho imparato ad arrangiarmi molto presto per procurarmi quello di cui avevo bisogno o che desideravo. Penso che fosse qualcosa di simile a quella che chiamano lotta per la sopravvivenza, l’autorità del più forte sul più debole.

Eravamo dodici fratelli e ho una memoria avventurosa della mia adolescenza. Penso, in seguito alle riflessioni maturate durante questi lunghi ultimi anni, che un patrimonio prezioso sia stata l’opportunità di viaggiare e conoscere persone con idee e abitudini molto diverse dalle mie.

Nell’attività che svolgevo, l’autorità che esercitavo e che mi sentivo costretto ad imporre, non era mai messa in discussione, veniva riconosciuta da tutti: tutti sapevano di potersi fidare di me. Mi sentivo sicuro di quello che facevo e quello che conquistavo mi dava sempre maggiore  credito e autorevolezza.

Nel primo periodo di permanenza a S. Vittore non ho cercato un vero confronto. Il direttore del carcere rappresentava la massima autorità realmente presente nella vita di tutti noi. Questo credo sia stato uno dei fattori fondamentali del mio processo di cambiamento nell’elaborazione del concetto di autorità.

Qualcuno, che detiene un potere potenzialmente totale nei tuoi confronti e che ti concede una possibilità di confronto, accordandoti la sua fiducia, in un contesto come questo, rimette un po’ tutto in discussione e ti disorienta. Poter parlare, vedere una possibilità di crescita personale attraverso il riconoscimento, da parte di chi deve decidere per te, che sei parte della decisione; il soggetto e non solo l’oggetto dell’autorità. Il sapere che c’è rispetto per la persona che si ha di fronte; un rispetto diverso da quello al quale ero abituato prima; gli incontri con persone che desideravano realmente confrontarsi con me e dalle quali mi sentivo accettato e non giudicato.

Così è scattato un meccanismo personale, un’apertura e un interesse nei confronti delle persone che mi davano fiducia, sapendo quello che ero; un aiuto e uno stimolo fondamentale per aprire una disponibilità al confronto con gli altri, che forse, senza saperlo, possedevo da sempre.

L’interesse nei miei confronti ha fatto crescere il mio interesse nei confronti dei miei compagni.

Per concludere, riguardo al concetto di autorità, credo sia ovviamente fondamentale come è esercitata e di conseguenza il tipo di relazione che si determina. Se viene recepita come necessaria e finalizzata a una possibilità di crescita è accettata, non subita, e svolge una funzione positiva.

Il giudice aveva avuto la funzione di giudicare e punire; il dovere di capire era diventato un mio compito.