Armando Xifaj | 06-03-2004 |
Lessi l’ultima riga, l’emozione era ancora vivida. Uscii dalla porta di casa e corsi giù dal mio amico, che abitava due piani sotto il mio appartamento. Gli raccontai del libro che avevo appena finito e che avevo deciso di andare pure io alla ricerca dell’oro; mi affrettai ad aggiungere che non sarei andato in Alaska, ma al fiume che attraversava la città. Attesi le sue reazioni; mi aspettavo una risata, invece lui mi guardava serio e preso da quell’idea.
Si alzò, andò in cucina, subito dopo tornò con un tegame: “questo può andare?”. “Basta modificarlo un poco” gli risposi contento. Ci stava!
Prendemmo un martello e provammo, battendo sul tegame, a dargli una forma ovale. Non era venuta un gran che, ma eravamo contenti lo stesso del risultato. Poi con un chiodo facemmo dei buchi per fare scorrere l’acqua. Erano quasi le tre di pomeriggio e i genitori sarebbero tornati da lì a poco quindi mettemmo il “tegame magico“ in una borsa di tela per non farlo vedere a nessuno e uscimmo di corsa.
Nascondendoci come due ladri prendemmo la strada del fiume. Nessuno doveva sapere niente; dissi al mio amico: “… se no, tutti ci seguiranno”. Certo – disse serio - non ho per niente voglia di dividere l’ORO con nessuno. Mi sembrò un poco esagerato ma forse aveva ragione. Di fatto a noi nessuno aveva mai regalato nulla.
Ci allontanammo non poco dalla città e dagli occhi indiscreti e ci sistemammo in un posto protetto dalla vegetazione. Dopo esserci scambiata un’occhiata fiera, ci immergemmo fino alla vita nell’acqua.
“Con il primo ricavo comprerò due completi sportivi, uno per me e uno per mio fratello, poi un abito da sera per mia madre ed un paio di scarpe nuove per mio padre e per chiudere in bellezza due abajour, una per ogni camera da letto, cosi finalmente potrò leggere fino a tardi, ovviamente se non salta la corrente”. Mentre fantasticavo in silenzio uno stivale di gomma mi passò vicino, trascinato dalla corrente del fiume.
Il mio amico mi passava il tegame ed io effettuavo l’operazione di setacciare la sabbia. Non so per quante volte l’abbiamo ripetuta prima di accorgerci che la luna aveva preso il posto del sole.
I risultati non erano granché ma nemmeno in Alaska era stato facile, quindi decidemmo di passare in rassegna tutto il nostro tesoro: tre conchiglie strane (forse fossili di un epoca lontanissima), una strana pietra che poi strana non risultò, ed una moneta da 10 lire con la testa di Mussolini. Non eravamo abbattuti ma solo preoccupati sia per i vestiti sporchi e inzuppati sia per il grave ritardo.
Infatti i nostri genitori avevano chiamato tutti gli amici che possedevano un telefono per cercarci, ma nessuno sapeva della nostra avventura. Quando ci videro ridotti come due zombi ci coprirono di baci e di mille domande, spaventati ancor più di noi. Rincuorati da tutto ciò e fieri, raccontammo loro tutto, o quasi, ma ancor prima di finire il nostro racconto volò il primo schiaffo per il mio amico, il mio complice. Subito dopo io presi un calcio nel di dietro (non violento) come se mio padre volesse pareggiare i conti. Ma quello che mi faceva più arrabbiare erano i nostri due fratelli che, piegati in due, se la ridevano.
L’indomani, a scuola, incontrai il mio amico che mi disse che quando sua madre aveva saputo del tegame era andata su tutte le furie e, per punirlo, non gli aveva fatto vedere il film della sera “I TRE MOSCHETIERI“. Per non farlo sentire più punito di me, gli dissi che non me l’avevano fatto vedere neppure a me. Gli dissi una menzogna.
E ci ripromettemmo che quando saremmo riusciti a scoprire l’ORO non avremmo dato proprio niente a nessuno. Avremmo comprato solo il tegame della sua mamma.