«Le chiedo perdono»
«Ma io non posso scusarla»

 


CORRIERE DELLA SERA
mercoledi, 28 novembre 2001


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La perizia: il giovane che uccise la donna in via Londonio consumava tre grammi di cocaina al giorno.

LE LETTERE tra lo scippatore, Pace Francesco Paolo,
e il marito della vittima, Paolucci Alberto.

Lo scippatore:

«Uno sbaglio tremendo» Salve signor Paolucci, mi trovo molto in difficoltà nel scriverle. Spero innanzitutto che Lei mi dia la possibilità di scu sarmi, anche se ciò che ho fatto non Le potrà mai restituire ciò che le ho tolto. È questo che chiedo, avere la possibilità si scusarmi, avere il Suo perdono. Sono rinchiuso nel carcere di San Vittore. Forse lei penserà che questa mia lettera sia sta ta strumentalizzata da qualcuno che ha a cuore i miei interessi. Ma voglio che Lei sappia che non è così, in quanto sono profondamente amareggiato dal dolore che ho provocato e darei qualsiasi cosa per tornare indietro, non voglio passare per una per sona onesta e pulita, ci mancherebbe altro, ma mi creda non sono neanche un criminale che ha fatto un gesto sbagliato e che riesce a sentirsi a posto con la sua coscienza. Ho diciott' anni e purtroppo ho fatto l' errore di cadere in quel tunnel chiam ato droga, anche se questo non giustifica affatto ciò che ho fatto. Mi creda, quella sera se solo mi fossi accorto che Sua moglie era caduta per terra mi sarei fermato per prestarle soccorso. Questa è una frase retorica lo so: lei può non credermi e lo capirei, ma da quella sera non sono più stato in grado di dormire sonni tranquilli. Ora io non so cosa si prospetta davanti a me, ma sarei molto più tranquillo se con il tempo Lei riuscirà a perdonarmi.

Distinti saluti
Francesco Paolo Pace

Il marito della vittima

«Si redima studiando» Sig. Francesco Paolo Pace, solo il giorno 5 novembre ho ricevuto la sua lettera datata 3 luglio e timbro postale del 26 ottobre u.s. Devo sinceramente dirle che il suo scritto mi lascia molti dubbi, ma spero anc he di sbagliarmi. Sappia comunque che io non la odio né la maledico, ma non potrò mai perdonarla: lei mi ha tolto l' unica ragione di vita rimastami. Ho mandato in copia la sua lettera e il suo recapito alla mamma e ai cinque fratelli di mia moglie: essi hanno diritto quanto me, se lo vorranno, di esprimersi in merito alla sua richiesta. Le consiglio di guardarsi dai pericoli ai quali lei è esposto: troppo spesso il carcere, piuttosto che redimere, esalta ancor più certe devianze in cui sembra essersi perso. Si redima sforzandosi di studiare o, almeno, di imparare un mestiere utile per il suo avvenire. Il perdono che cerca da me le verrà dal successo che conseguirebbe quanto più sarà tenace nel perseguirlo.

Con profonda tristezza
Alberto Paolucci