Quei ragazzi violenti alla ricerca della perfezione | Giugno 2003 |
Il sentimento di vergogna che si nasconde dietro
i comportamenti trasgressivi degli adolescenti.
Una ricerca dell’Istituto Minotauro
Silvia Vegetti Finzi
L'adolescenza da età carica di promesse si è trasformata in età carica di minacce. Recenti episodi di cronaca nera, così noti che non hanno neppure bisogno di essere evocati, hanno indotto l'indebita equazione: adolescenza uguale a violenza. E' vero che lo sviluppo puberale determina un notevole incremento delle pulsioni erotiche e aggressive, ma nel frattempo dovrebbero essere state elaborate modalità di controllo e di gestione tali da renderle socialmente utili, incanalandole verso l'acculturazione, la competizione regolata, percorsi di autonomia e indipendenza. E di fatto le cose vanno così: i fatti estremi restano tali. Tuttavia, intorno ai sedici anni, s'addensano espressioni di disagio, segnali di malessere, linee di fuga che rappresentano ineludibili domande di aiuto. Se gli adulti sono in grado di accoglierle e interpretarle correttamente, condotte immotivate e gesti incomprensibili acquistano progressivamente valore espressivo, come mostra con straordinaria efficacia il volume collettivo, curato da Elena Rosci, "Fare male farsi male".
Adolescenti che aggrediscono il mondo e se stessi, edito da Franco Angeli, ultimo documento del gruppo di lavoro che fa capo all'Istituto milanese Minotauro, fondato da Franco Fornari e attualmente coordinato da Gustavo Pietropolli Charmet. Tra i saggi, tutti di grande interesse, spiccano, per attualità e incisività, «Adolescenti antisociali» di Alfio Maggiolini, «Tentare la morte» di Charmet e un'analisi che non ha precedenti «I tagger: firme metropolitane tra trasgressione ed espressività» della stessa Rosci. Poiché gli autori prendono in considerazione comportamenti eterogenei, come il bullismo, le corse in motorino, il tifo degli ultrà, i disturbi alimentari, la dispersione scolastica, non è facile trarre da questa costellazione una visione d'insieme. Per fortuna l'introduzione offre al lettore una griglia interpretativa capace di ricondurre a unità episodi altrimenti dispersi.
L'elemento determinante è individuato in una trasformazione epocale: l'attenuarsi del sentimento di colpa, progressivamente sostituito dal senso di vergogna.
Come già denunciava Kafka, la famiglia tradizionale, centrata su un rigido sistema di valori e di regole, incarnato dall'autorità paterna, induceva nei figli atteggiamenti reattivi, con l'inevitabile corredo di colpe e punizioni. Di contro la famiglia contemporanea, basata su rapporti affettivi di tipo materno, non esplicita un sistema di ingiunzioni e divieti cui i figli debbano rigorosamente attenersi. Cerca piuttosto di influenzarli proponendo loro modelli ideali che li orientino nella realizzazione di sé.
Ma il sogno degli adulti, prolungamento del loro narcisismo infantile, è spesso onnipotente, assoluto, contradditorio. I genitori vorrebbero che il figlio eccellesse in tutto: nello sport, nel rendimento scolastico, nelle attività espressive, nei rapporti con i coetanei, prospettandogli una pluralità di destini che alla fine esaspera la fisiologica insicurezza dell'età.
Tanto più che anche i mass media offrono ai ragazzi modelli di riferimento, particolarmente efficaci in quanto suggeriti in modo anonimo e impersonale, come se lo schermo fosse l'unico mondo possibile.
Tempestati da tante suggestive ingiunzioni, i ragazzi più fragili possono rimanere schiacciati da un'insuperabile impressione d'inadeguatezza. La paura di non farcela, di non essere all'altezza delle attese degli adulti, fatte proprie, suscita in loro un sentimento di vergogna molto più doloroso della colpa perché indelebile, impossibile da superare con i tradizionali dispositivi del pentimento, del risarcimento e della pena. Per giunta molto più intimo e segreto, difficile da riconoscere, comunicare e condividere. La discrepanza tra il sé ideale e quello reale genera una frustrazione che, se rimane incompresa, tende a scaricarsi in comportamenti più o meno violenti, il cui senso sfugge a chi li agisce. Il suggerimento è allora quello di recuperare il lessico plurisecolare delle passioni, come la vergogna e l'ira, per ridare significato e senso a tensioni e pulsioni che, prive di riconoscimento sociale e di rappresentazione culturale, circolano ora in modo minaccioso nei meandri opachi della società e della mente.
Il libro, «Fare male farsi male. Adolescenti che aggrediscono il mondo e se stessi», a cura di Elena Rosci, è edito da Franco Angeli (pagine 169)